giovedì 30 agosto 2007

In un giorno di pioggia

Ovvero... Come trasformare un mood particolarmente negativo in un post decente (almeno spero).
Piove. Non la pioggia d'Irlanda (alla faccia dei Modena), che è qualcosa che esalta, rende creativi, ti fa vedere il volto di Dio anche se non ci credi. E' la pioggerellina sporca e ignobile di Roma, in un caldo che scopre i nervi e li tocca con scariche elettriche. Ieri mi si è scassata la macchina. Pazienza. Non voglio essere negativo.
Oggi è una giornata da chiudere gli occhi, respirare a fondo, far partire la fantasia e far nascere storie.

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Now playing: Modena City Ramblers - In un giorno di pioggia
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mercoledì 29 agosto 2007

La forza degli antenati (parte I°)


Questa vorrebbe essere la prima di una lunga serie. Spero, per una volta, di essere costante.

Mio nonno è morto quando avevo quindici anni. E' stato una delle persone più importanti nella mia vita. Mi voleva bene, aveva una grande considerazione per me, mi ha sempre dato retta. Mi sedevo sulle sue ginocchia da piccolo e lui mi raccontava le sue storie: di quand'era giovane, di quando aveva fatto la campagna di Russia, di quando fu preso prigioniero dai tedeschi dopo l'8 settembre, dei due anni di prigionia in Germania (mi ha trasmesso un senso di repulsione per i tedeschi che solo una serie fortunata di avvenimenti negli ultimi tempi mi ha ribaltato... Ci sono quasi rimasto male, era l'unico vero pregiudizio che avevo).
Mi ha lasciato un diario, scritto con mezzi di fortuna durante la prigionia, struggente, intenso, duro da leggere, particolare.
Tempo addietro, in un mood strano, feci una fotografia (una foto che amo particolarmente) per celebrarlo. La inserisco qui, nel blog, come omaggio a lui. Spero di poterne parlare di più, non appena avrò tempo.
Ti voglio bene, nonno, mi manchi tantissimo.
Quest'anno avrebbe fatto cent'anni.


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Now playing: Lou Reed - Berlin
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lunedì 27 agosto 2007

La sindrome del buon samaritano

Premetto che non mi piace molto parlare del mio lavoro.
Faccio un lavoro che non mi piace, molto stressante, a volte colmo di responsabilità.
Sono scioccato dal fatto che alla fine mi occupo di "niente", vale a dire di sistemi (ahinoi) informatici dediti all'espletamento di formalità burocratiche... Una palla.
Come dico spesso parlando del mio lavoro "c'è e mi da da mangiare". E' il meglio che possa dirne.
Un sacco di gente, nell'ambiente, lo prende seriamente. Io, a dire il vero, non ci riesco. Per niente. Non è un pronto soccorso, se sbagliamo tutto non muore nessuno, non c'è da preoccuparsi. Invece un sacco di gente che lavora con me è convinta che sia tutto serio...
Parliamoci chiaro, sono tutte stronzate.
Però, purtroppo, soffro disperatamente della sindrome del buon Samaritano: ogni volta che qualcuno viene da me con qualche problema mi ci dedico al massimo, impegnandomi, incazzandomici, cercando di risolvere il problema in tutte le maniere.
Sono sincero: a me, del problema, di solito non me ne frega niente. Spesso non è neanche "di mia competenza" (chiunque abbia lavorato anche solo per cinque minuti nelle burocrazie conosce questa frase magica). Però ci lavoro. E a volte trovo anche la soluzione. Non sopporto di vedere le persone che ne soffrono.
Peccato che così il buon samaritano in questione non abbia mai tempo per pensare a se stesso, ai suoi hobby, ai suoi interessi, spesso anche alla parte di lavoro che gli compete; diventa un a vera e propria tortura, un rincorrere le cose da fare arrivando alla fine della giornata così stanco, sia mentalmente che fisicamente, che non c'è più altro da fare che stravaccarsi su un divano e spegnere il cervello, per dare un po' di riposo ai poveri neuroni usurati dal doversi concentrare sulle stupidaggini.
E' un problema caratteriale, me ne rendo conto, un grave problema caratteriale. Oltretutto è un po' troppo che vado avanti in questa maniera, sta per diventare un'abitudine talmente radicata che temo stia diventando permanente. Faccio sempre più fatica a prendere in mano la macchina fotografica, a scrivere qualcosa, a prendere la chitarra giusto per strimpellare due accordi inutili.
Dovrò inventare qualcosa per uscirne fuori.
Oggi volevo scrivere qualcosa a cui tengo molto, un racconto su di una persona molto importante. Non riesco, il telefono squilla in continuazione e riesco solo a scrivere questo sfogo. Uno sfogo inutile.
Proverò a scrivere il vero post di oggi più tardi.
Se non lo troverete scritto qui non sarà una sconfitta, ma una ritirata strategica.
Pia illusione...
Piccolo ed inutile poscritto: combattere una battaglia del genere da soli non aiuta... Ma piangersi addosso nemmeno.

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Now playing: The Kennedys - A Hard Rain's A-Gonna Fall
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venerdì 24 agosto 2007

Cronaca di uno stupido incidente.

Prima o poi doveva succedere.
Diventare parte di una statistica. Il mio incubo...
Un po' d'ordine? Magari è meglio...
E' stato un bel po' di anni fa. Quasi dieci, se non ricordo male. Ero in uno dei miei (brevi) periodi stanziali nella mia città natale, la ridente (all'epoca aveva un po' più da ridere di adesso) cittadina costiera di Brindisi. Possedevo, per una serie di fortunate circostanze, una vecchia Ford Fiesta nera, un po' scassata, ma con il tetto apribile. Una figata, oltretutto era la mia prima macchina... Si sa, la prima macchina non si scorda, si ama. So a memoria la targa: BR334430. Potrei anche fare come Johnny Depp e tatuarmela sulla spalla, BR334430 forever. Lui però è stato più banale, l'ha fatto per una donna (che donna però...).
Insomma, avevo 'sta macchina. E ci giravo sempre, in qualunque condizione psicofisica. Dieci anni fa ero immortale, quindi concetti come "incidente" o "abuso di alcool e droghe" non sfioravano minimamente la mia testa.
Ogni persona si ritiene sempre il "miglior guidatore sbronzo della terra", è quasi una legge di natura. Fino a che non si diventa quanto di più simile ad una decalcomania su di un muro che si possa immaginare.
Venne una sera d'estate. Una di quelle sere in cui fa caldo, abbastanza caldo da poter andare in giro in mezze maniche, ma non tanto caldo da boccheggiare in un angolo e non potersi muovere. Il passaparola tra amici aveva funzionato, andando a pieno regime: c'era questa festa, prezzo d'ingresso modico, buona musica, poco fuori città, ci andavano tutti. Jeans neri, camicia di seta nera (una sciccheria che amavo quasi come BR334430), salto in macchina e ci vado.
E' vero, ci sono proprio tutti. Anche lei, per la quale all'epoca perdevo il sonno e sarei stato pronto a sfidare draghi, traversare montagne e combattere guerre (l'avrei fatto, ma questa è un'altra storia...).
Con gli amici ci si intruppa subito, bevo un bicchiere, ci si deve lubrificare. Si ride, si scherza. Qualcuno tira fuori una canna, la prima della serata. Perfetto, è un posto tranquillo, si sta bene, due, tre tiri e via, niente di eccessivo. Un altro bicchiere. Parlo con lei, un lungo discorso con il sorriso stampato sulla faccia. Lei non sembra molto interessata a me quella sera. Un amico mi chiama. Mi porta in un angolo appartato della masseria dove si sta facendo la festa. Il posto è tranquillo, ma quando qualcuno tira fuori una strisciolina di polverina candida come la neve capisco che si, forse è meglio appartarsi. Tiro su col naso, il sapore di medicina mi invade e mi si anestetizza la bocca. Mi prudono i denti.
Arriva una canna, mezza erba, mezza polverina bianca. Tiro profondamente, poi la passo. Mi fa venire sete. Vado al banco degli alcoolici e prendo da bere, qualcosa di dissetante, del succo d'arancia. Con vodka. No, diamo a Cesare quel che è di Cesare: vodka, tanta vodka, con un po' di succo d'arancia. Va giù in due sorsi, merito della candida signora. Il cervello comincia ad essere molto, molto lubrificato. Riparlo con lei.
Lei continua a non cagarmi minimamente, ma la neve che è scesa tranquilla sulle mie sinapsi è un ottimo filtro attraverso cui vedere la realtà, mi pare che sia molto, molto interessata. Dentro di me sorrido, mi sento da Dio.
Mi sento lucido, mai sentito così lucido.
Perché è una caratteristica di quando butti giù tanta di quella roba di tipo diverso: il cervello comincia ad oscillare da una parte e dall'altra, ti rendi conto che stai allontanandoti dalla realtà sempre di più, fino a che lo stonamento, montando sempre di più, raggiunge proprio quel gruppo di cellule cerebrali deputato proprio a capire quanto si è stonati. Vanno in tilt anche loro e in quel momento ti convinci di essere lucido. Ma non è vero, è solo che sei così fuori che non ti rendi nemmeno conto di essere fuori.
La festa va avanti così: buona musica, atmosfera tranquilla, posto splendido, qualche altra canna che gira, uno o due altri tiretti, giusto per mantenere alta l'attenzione, molto alcool, perché fa caldo e la sete impazza. Poi la gente comincia ad andare via, lei già non c'è più, sono convinto che la serata sia andata bene, in realtà mi ha considerato meno di una caccola, ma la magia di alcool e droghe è questa dopotutto...
Forse è ora di andare. Ce ne stiamo andando tutti, praticamente la festa è finita. Salgo su BR334430, l'accendo. Lei aveva un piccolo difetto, le avevano smontato la radio, era rimasto un buco nel cruscotto con dietro una lampadina fastidiosissima. In un impeto di genialità, invece di coprire quel buco con un bel pezzo di plastica, ci avevo messo della roba traslucida rossa, la luce all'interno dell'abitacolo dava un po' sullo Star Trek, fichissimo.
Parto e mi avvio verso casa.
Sono lucidissimo, penso, e fa caldo, niente aria condizionata su BR334430, quindi il finestrino del guidatore è aperto. Non pesto nemmeno sull'acceleratore. Almeno credo.
Il foglio di plastica rossa che è davanti alla lucetta nel cruscotto si sposta, l'improvvisa luminosità nell'abitacolo mi ferisce gli occhi, mi piego per rimetterla a posto.
Parliamoci chiaro: non ho la minima idea di quello che succede. Mi hanno raccontato che BR334430 ha sbandato, ha urtato un paletto ai bordi della strada ed ha cominciato a roteare, cappottando due o tre volte. Mi hanno detto che è stata una scena da incubo.
Da dentro è solo incredibilmente, terribilmente strano. Sento BR334430 spinta da accelerazioni contrastanti, vedo il mondo in piccoli dettagli muoversi in maniera assurda mentre il senso dell'equilibrio, molto semplicemente, da forfait, rinunciando a mandare informazioni.
Quando l'universo si ferma faccio un respiro profondo. Il cervello riprende a lavorare. I pensieri arrivano uno dopo l'altro, in rigido ordine.
Prima consapevolezza: mi sono schiantato.
Seconda consapevolezza: sono vivo. Un'ondata di piacere mi arriva al cervello.
Terza consapevolezza: muovo le gambe, non sembrano nemmeno farmi male. E vai...
Quarta consapevolezza: non sento dolore, ma allo stesso tempo mi pare di riuscire a muovere ogni parte del corpo. Un sorriso mi appare in faccia, mi rendo conto che mi è andata molto, molto bene. BR334430 si è fermata nell'orientamento giusto, il tetto dell'abitacolo è dove deve essere, sopra di me, il parabrezza è una ragnatela di crepe ma è ancora lì. Con un po' di fortuna non mi sono fatto proprio niente.
Sento qualcosa di umido scorrermi sulla faccia. Mi tocco la fronte, vedo che la mano è imbrattata di sangue. La testa non mi fa male, ma capisco che ho battuto sul parabrezza, parte del suo vetro è ora parte di me, la fronte deve essere simile ad un hamburger crudo. La portiera si apre con facilità, esco.
Una macchina si ferma subito dietro di me: sono alcuni dei miei amici che erano con me alla festa, hanno visto tutto, sono loro che mi racconteranno in seguito cosa è successo. Sono terrorizzati, molto più di me, non pensavano di vedermi uscire con le mie gambe da BR334430. Invece vedono la portiera aprirsi ed io che esco, apparentemente anche abbastanza allegro. Però, illuminato solo dai fari della loro macchina, ho il volto che sembra la pubblicità di un film splatter di quart'ordine, sangue ovunque.
Ennesimo colpo di fortuna: uno degli occupanti della macchina che mi seguiva è una mia amica che si è appena diplomata infermiera. Mi si avvicina, mi tasta un po' dappertutto. "Fa male?" "No." "E qui?" "Nemmeno".
Mi strappa la camicia per farne delle bende. In un primo momento protesto: "E' di seta, e ci tengo a questa camicia!" "Ma hai visto com'è ridotta?"
La manica sinistra è a brandelli. Era il braccio che era fuori dal finestrino. Dio solo sa quanto sono stato fortunato, secondo ogni logica mentre BR334430 faceva il suo balletto sulla strada mi si sarebbe dovuto strappare dal corpo, invece, grazie non so a quale colpo di fortuna, l'asfalto si è limitato a grattuggiare completamente la manica della camicia senza che io avessi un graffio.
Sono stato più che fortunato. Sono stato miracolato.
Il resto è una corsa in ospedale, una telefonata a casa "Ma no, devi chiamare tu, non possiamo chiamare noi, altrimenti ai tuoi viene un infarto". Due TAC, niente di rotto. Un'ora con un medico che con una pinzetta tira fuori i pezzi del parabrezza dalla mia fronte, con scarsi risultati. Gli ultimi usciranno fuori da soli tre anni dopo, ho ancora la fronte che è una ragnatela di cicatrici. Dopo un giorno in osservazione firmo ed esco dall'ospedale, non ce la faccio più.
BR334430 è ridotta molto peggio di me. La carrozzeria è un coacervo di botte, il telaio è piegato. Logica vorrebbe che la buttassi via, ma in qualche maniera la salvano. Non sarà mai più quella di prima è rimarrà per sempre pericolosa da guidare, anche se col tempo imparerò a conoscere le sue nuove tendenze, lo sterzo impreciso, gli scarti da cavallo imbizzarrito che ogni tanto la prendono. Ritornerà a fare i 130 all'ora, anche se chiunque penserebbe che è da folli portarla a quella velocità.
In fondo sono stato veramente, veramente fortunato. Sono vivo.
Non sono riuscito a demolire BR334430 per un sacco di tempo. Mi sono deciso solo l'anno scorso. Però ancora mi manca.

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Now playing: Frank Sinatra - Fly Me To The Moon (In Other Words) (with Count Basie And Orch)
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giovedì 23 agosto 2007

Lavori d'agosto

Oggi parlo di lavoro. Non che mi piaccia farlo, il mio lavoro, come ho scritto da qualche altra parte, in questo momento ha giusto le caratteristiche di "esserci e darmi da mangiare", oltre a impegnare gran parte della mia giornata da sveglio... Ahem, "alzato dal letto" sarebbe una definizione più esatta, cerco di dormire anche quando sono davanti ad un computer a far girare dati.
Però oggi riflettevo. Non nel senso che avevo degli occhiali a specchio - è una pessima battuta, merito la fustigazione - ma nel senso che ho acceso un paio di cellule cerebrali giusto per fare qualche riflessione oziosa.
L'Italia sta tentando di diventare una nazione civile. Almeno a parole. Almeno per scena. Non che ci si riesca molto, ma almeno ci stiamo provando.
Questo fa sì che, a differenza degli anni passati, per alcuni agosto non è un periodo letargico, inutile ed indifferente nel quale, a meno che non si sia nel campo del turismo, la regola è non si fa un cazzo. Tutt'altro: molti di noi sono sul posto di lavoro, "attenti e vigili e pronti alla bisogna"... Che non arriva mai.
Chi ha letto altri post di questo blog sa che molto spesso ho lo stesso stato d'animo del tenente Drogo ne Il deserto dei Tartari, essendo tra l'altro molto vicino a perdere la brocca proprio come lui. Ma in quest'agosto sonnacchioso ed inutile la sensazione sta assumendo livelli preoccupanti, giungendo ad occupare una porzione preccupantemente ampia dello scarso spazio cerebrale a disposizione.
Cosa possiamo fare? La risposta a molte delle domande lavorative che pongo è "ne riparliamo a settembre", "tanto è agosto", "non c'è nessuno, sono tutti in ferie".
No, l'Italia continua ad essere un paese in cui ad agosto si è chiusi per ferie, anche se tentiamo di dare un'impressione diversa. Perché d'altronde non dovrebbe essere così? In fondo ad agosto il sole picchia (ma quando mai... In realtà agosto è diventato l'inizio della stagione delle piogge), siamo tutti svogliati, ci limitiamo alle granite di caffé con panna, allo stare in piazzetta a guardare le ragazze poco vestite che passano (magari...) o col culo a mollo, illudendoci di divertirci.
Non è così. Anche ad agosto la gente nasce e, purtroppo, muore, a volte in maniere molto più idiote ed inutili che nel resto dell'anno. E' un mese come tutti gli altri, certo, etichettato come "di vacanza" da migliaia di anni, ma in ogni caso da affrontare come tutti gli altri.
Anche se, come si può facilmente capire da questo post sconclusionato, anche il mio cervello è abbastanza in vacanza...


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Now playing: David Bowie - 'Heroes' (Single Version)
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martedì 21 agosto 2007

Confini

I confini sono posti un po' particolari. Sono dei limiti, dei bordi, delle interfacce tra qualcosa di diverso. I confini umani sono affascinanti, soprattutto quando coincidono con quelli culturali.
Ho avuto la fortuna di nascere e crescere, per la prima parte della mia vita, in un posto del genere. Un porto, "proiettato tra oriente ed occidente", come dice la pubblicità dell'azienda di soggiorno e di turismo. Un posto dove, passeggiando per il corso (è pur sempre una cittadina meridionale, lo struscio è attività mandatoria), si possono leggere insegne in italiano, greco, albanese, turco. Un posto di passaggio, dove però sono passati in tanti, dal mitico Diomede a Gandhi. Li abbiamo mantenuti tutti nella memoria, in un angolino, cercando di dimenticarli alla prima buona occasione... ;)
La mentalità che c'è in un confine è diversa da quella di tutti gli altri posti. Può svilupparsi in due diverse direzioni. Una è quella classica del confine assediato, della fortezza. Un po' da Deserto dei Tartari di Buzzati, con il terrore del nemico che possa venire dall'altra parte da un momento all'altro. Ho trovato questo confine nel sud del New Mexico, ad esempio, con i rangers forniti di Rayban a specchio regolamentari e fucili a pompa che guardavano di traverso tutti i chicanos. Non è un confine che mi piace, anche se di solito è una creazione artificiale, voluta da gente impaurita e che dura poco, per essere a volte abbattuta in maniera fragorosa e repentina.
Il vero confine, quello naturale, è qualcosa di ben diverso. Tanto per cominciare è un'interfaccia fluida e mobile, instabile, non ben definita. Viaggi e ad un certo punto ti ritrovi in una zona indefinita, dove non sei né nel posto da cui vieni né nel posto in cui stai andando, ma in-between, in transito, all'interno di una membrana osmotica e permeabile dove due o più culture si mescolano.
Da questa mescolanza nasce qualcosa di strano, di superiore alla semplice somma delle due parti. Gli abitanti dei confini sono naturalmente proni ad accettare qualunque stranezza, sia tra la gente che si muove nelle loro terre che al loro stesso interno, sviluppando spesso tradizioni particolari, spesso profonde e antiche quanto mutevoli ed instabili, sempre attuali perché per loro natura adattabili.
E' il mio ambiente naturale, l'ambiente in cui mi trovo bene, quello in cui girando l'angolo puoi trovarti indifferentemente in una cattedrale di vetro e cemento dedicata al dio denaro, in una moschea di fango, in un bazaar dai banchi di canne dove si vendono giocattoli cinesi illegali, in una strada stretta dalle pareti bianche con donne vestite di nero sedute fuori dalla porta a prendere un po' di fresco.
Dispiace dirlo, ma mi trovo a vivere, da dieci anni ormai, in una città che è l'esatto contrario di un confine. Roma non è una città dove si passa, è una città dove si arriva, un posto senza alcuna vera storia e tradizione che non sia estremamente remota, un buco nero che tutto assorbe, tutto tritura e trasforma in un misto tritato che è il romano: cinico, cialtrone, intriso di un aria di superiorità assolutamente ingiustificata, impossibilitato ad esprimere alcuna forma di creatività. Un posto dove non c'è mescolanza di culture, in realtà, a parte quella che qualche poveraccio sta tentando di creare. Ma, si sa, la città non reagisce, beandosi dei suoi duemila anni di storia e cinque minuti di futuro, in un presente assente. Roma non è terra di confine né mai lo sarà, per quanto ci provi. E' solo un punto di arrivo, uno dei tanti, dove una buona idea viene accolta semplicemente con un'alzata di spalle ed uno sguardo compiacente ed ironico.
Voglio tornare a sognare, voglio tornare in un posto dove almento due mari, due terre diverse siano a portata d'occhio.


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Now playing: The Waterboys - Fisherman's Blues (Alternative)
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domenica 19 agosto 2007

Mugshot


Mugshot è un termine inglese. In italiano si traduce con "foto segnaletica", ma nel gergo dei fotografi è l'autoritratto. Un po' perché ci si vede tutti come criminali... E un po' perché è spesso l'ultima risorsa del depresso, del notturno senza compagnia.
M'è scappato un mugshot stanotte, forse proprio perché rientro in tutte le categorie sopra descritte. Pubblico, non perché sia una bella fotografia, tutt'altro, ma perché rappresenta bene il mio stato d'animo.

Si, è un periodo depresso. Passerà, al diavolo, mica possiamo essere sempre positivi!


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Now playing: Bob Dylan - Hurricane
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giovedì 16 agosto 2007

Nota al post precedente

Scritta, di getto e senza rileggere, per dimostrare a qualcuno che avevo ragione io quando parlavo delle foreste finlandesi.
Non correggerò gli errori, la lascio com'è.

Al lupo, al lupo!

Tutti hanno paura del lupo. Può sembrare così, ma tutti hanno veramente paura del lupo...
Non perché sia veramente il lupo a fare paura. Anzi. Alla fine non è altro che un cagnolone con i denti un po' troppo aguzzi. Che ha il brutto vizio di girare di notte, di ululare alla luna, d'accordo, ma poi alla fine non è così cattivo. Certo, le pecore dovrebbero pensarla un po' diversamente, ma se riflettiamo bene le pecore dovrebbero pensarla anche peggio riguardo a noi: sono più gli agnellini che ci pappiamo spudoratamente di quanti i lupi della penisola non potrebbero nemmeno lontanamente sperare, anche nei loro sogni più lascivi.
Alla fine, a voler essere onesti, è il lupo che dovrebbe avere paura. Di noi.
All'uomo, all'uomo! Già li sento ululare nella notte...
Dovrebbero farlo. Alla fine siamo stati noi a fargli letteralmente la pelle. Almeno loro ci attaccano solo per qualche buon motivo. Hanno paura, magari hanno fame e non ci capiscono più niente con quel desiderio assoluto che gli tormenta le viscere, allora fanno un paio di ululati, si incamminano nella foresta e a un certo punto incontrano qualche deficiente che magari è andato a fare una passeggiata nella notte perché è tanto romantico, loro non gli farebbero niente, poveracci, anche perché c'hanno una fame che nemmeno sono tanto sicuri che potrebbero corrergli dietro, ma è il loro territorio, cazzo, dieci milioni di anni di evoluzione mica li puoi tenere in silenzio, il lupo difende il territorio. E ringhia.
Perché quando qualche stronzo entra nel territorio lui, il lupo, ringhia. Non è cattivo, è l'istinto che glielo fa fare. L'ha sempre fatto e sempre lo farà, anche se lo trasformi in Chihuahua, e infatti vedi questo cagnolino in formato subnotebook che anche se ricorda veramente molto alla lontana lo zio lupo comincia a tirare fuori i dentini dei puffi quando ti avvicini al suo angolo di cucina.
Il lupo è lupo, mica ci può far niente.
Il terriotrio e suo, il coglione ci è entrato, lui ringhia. Se il coglione non è tanto coglione a quel punto capisce di aver fatto una cavolata di dimensioni MADORNALI, fa un respiro profondo e lentamente, senza fare movimenti bruschi, ritorna alla macchina.
Però siamo noi ad avere paura dei lupi.
E il coglione quindi che fa? Si gira e si mette a correre, comincia a spandere tutt'intorno odore di paura, che al lupo gli fa un effetto strano, è come se si fosse drogato, comincia a divertirsi senza sapere nemmeno perché, un po' come quando l'Italia vince ai mondiali e anche a te che non te ne frega un cazzo viene da vestirti con la maglietta azzurra, guardare i rigori col fiato sospeso e mettersi a fare l'ultrà nazista alla prima buona occasione. Non lo sai mica perché ti comporti così, anzi ti sembra un po' da pirla metterti a cantare i White Stripes in mezzo alla strada, però lo fai e non sai bene perché.
Per il lupo è lo stesso. Il coglione che si gira è scappa via veloce come il vento gli fa lo stesso effetto di un rigore segnato da Grosso. Non ha i muscoli facciali, poverino, quindi non lo può fare mica quel sorriso di goduria che vorrebbe fare, ma comincia a a correre dietro al coglione, prima al trotto poi - beato lui che ha quattro zampe - al galoppo. Il coglione nei fumi della paura lo sente dietro di sé, si caga sotto e tenta di scappare più forte, manca clamorosamente la macchina, cerca di fare una sgommata a 180° tipo telefilm americano, incespica, cade, si fa dai cinque ai dieci ruzzoloni, sbatte la testa contro un sasso, si spacca la testa e schiatta. Sul colpo.
E il lupo, assieme al branco, che fa? Si avvicina piano piano, un passo per volta. Tiene la testa bassa, segue gli odori, lui tra l'altro ci vede abbastanza bene al buio, mica si sarebbe fatto fottere da un rametto sporgente come il coglione. Che, tra l'altro, sta lì in un angolo contro un albero, un sacco di sangue che gli esce dalla testa.
Il nasone nero di uno dei lupi si avvicina. Odora. C'è il sangue, ma c'è anche un altro odore, un odore che il lupo conosce bene.
Tira fuori la lingua, si avvicina al coglione. Lo lecca. Lo lecca un'altra volta. Cazzo, non c'è mica da dubitarne, è morto. I lupi sono un po' straniti, si guardano tra loro, mica lo sanno bene quello che sta succedendo. Però sentono una tagliola nelle viscere che gli ricorda che hanno una fame... Bé, una fame da lupi, è ovvio. E lì c'è un po' di carne ancora calda, un morsetto e via...
Si, pare facile. Un morsetto e via. Dopo tutto son lupi, no? E dai il primo morsetto, il coglione non è che sia un granché, è molto meglio il cervo quando si trova, o anche l'agnello quando qualche piccolino sfugge a quel cagnaccio incazzato e si perde nella foresta, ma la fame e fame e lacarne del coglione è sempre meglio di niente. Così un morsetto qua, un morsetto là, parte del coglione finisce nella pancia dei lupi. Non tanto, però perché sranno lupi ma sono mica scemi, lo sanno che l'uomo non si tocca... Quando è possibile.
Poi se ne vanno, ancora con la fame però un po' calmati, e allora arrivano tutti i topacci, roditori e bestiacce del bosco e finiscono l'opera. Una bella opera, veramente un'opera d'arte. Tant'è che il giorno dopo i giornali, orgogliosi, la pubblicano tutti in prima pagina, anche se con un sacco di cerchietti neri messi ad arte per non far scatenare i moralisti ma che lasciano visibile tutto il sangue del panorama trucido, ma trucido che c'è intorno. E allora si scopre che magari il coglione c'aveva un lavoro, era un bravo ragazzo, che c'aveva una moglie e una figlia, che mammamiachebravoragazzocheera e perchémelohannoportatovia, e che i lupi sono aumentati, e che questi ambientalisti c'hanno portato alla rovina perché sono tutti delle checche e bisogna far vedere che cosa sappiamo fare quando siamo uomini, e che non sono mica così utili all'ambiente anzi, meglio spararli, e che ammazzare i lupi era un'antica e saggia tradizione, e che le tradizioni e i valori vanno tenuti saldi e che quindi il lupo bisogna ammazzarlo e che cazzo vogliamo dimenticarci di Cappuccetto Rosso, di Alamo e di Pearl Harbour?
Così, tutti assieme, geometri, commercialisti, operai e vecchi contadini si uniscono, si guardano e avanzano soddisfatti nella foresta, perché all'uomo il lupo fa paura, ma alla folla no, perché la folla siamo tanti. Ohé, siamo ancora scimmie, che credete? Animali da branco fino alla fine, forti quando siamo tanti e deboli da soli, ci piace da morire stare uniti assieme a marciare nella foresta contro al nemico!
Oddio, a dire il vero pure il lupo sarebbe un animale da branco, e pure lui sta in branco. Ma, parliamoci chiaro, che cavolo possono fare cinque o sei sacchi di pulci anche abbastanza affamati contro qualche centinaio di imbecilli, molti armati ma tutti sicuramente con la digitale e il telefonino in tasca, che vengono su con la precisa intenzione di scuoiarti alla prima buona occasione? Ben poco.
Non tanto per il qualche centinaio di imbecilli. Sono rumorosi, casinisti, la foresta non sanno nemmeno com'è fatta, qualcuno si ferma pure a raccogliere dei fiori, qualcun'altro, con un bel coltellaccio da cucina in mano, convinto che il lupo lo stia aspettando dall'altra parte di una radura pronto a fare un bel salto contro di lui in maniera tale da dargli la possibilità di rifare la scena di Sandokan che gli era piaciuta un sacco quand'era bambino, gli passa proprio accanto, mentre lui se ne sta con la coda tra le gambe dietro a un sasso immobile perché tutti 'sti imbecilli sono venuti a rompere le scatole proprio nel suo territorio, e quando gli imbecilli sono tanti anche l'istinto non è mica stupido, ti dice di startene in un angolino acquattato che magari questi matti se ne vanno presto perché si stancano e noi ricominciamo a morirci di fame in santa pace. No, il lupo magari l'avrebbe pure scampata.
Senonché, per colmo della sfortuna, insieme agli imbecilli sono saliti in foresta anche alcuni forestali, che il bosco lo conoscono bene, sanno come muoversi, sanno dove andare, soprattutto hanno ricevuto l'ordine "Categorico. E quando dico categorico intendo dire che se a qualcuno succede anche la più piccola cazzata, anche un'unghia incarnita voi, quant'è vero Iddio, siete i primi forestali che vengono comandati in servizio in Iraq, mi sono spiegato? E portatemi una cazzo di pelle di lupo, che sennò chi cacchio li sta a sentire quegli stronzi degli onorevoli che sono venuti qua a farsi riprendere in televisione?"
Ai forestali mica gli va giù tanto quello che sta succedendo. Prima di tutto quei disgraziati che si trascinano dietro a loro, per la prima volta nella foresta, stanno facendo un casino che ci vorrà un anno per ritrovare tutte le bottigliette di plastica, senza contare che se qualcuno butta male una cicca nel sottobosco è la volta buona che ci giochiamo mezza foresta, e capace pure che qualcuno si fa male. Poi con tutti quei fucili da caccia che si sono portati dietro è molto probabile che qualcuno impallini qualcun'altro, ci scappi un altro morto e il comandante è pure già incazzato, va a finire che si ritrovano volontari per l'Iraq senza nemmeno il tempo di dire sissignore. E poi secondo loro i lupi mica c'entrano tanto. Lo sanno che stanno lontani dai cristiani. Lo sanno benissimo che quello lì ha fatto qualche cavolata e si è spaccato la testa, e che il lupi hanno solo approfittato del bachetto gratis. Ma che ci vuoi fare? Oh, qui si parla di Iraq, mica cavolate. E loro sono militari, se gli dicono di andare devono andare. Meglio la pelle di un lupo che un biglietto per Baghdad. E loro sanno dove trovarlo, il lupo. E si sbrigano pure, casomai qualcuno finisce per farsi male davvero.
Lo trovano quasi subito, infatti. E' il capobranco, dietro di lui ci sono giusto un paio di femmine e di giovani. I cucciolotti non si vedono ma ci sono, ci sono un paio di guaiti che lo testimoniano. Lui sta dritto davanti a loro, mica ha paura, li conosce bene, sono quelli che ogni tanto si fanno un giro e qualche volta di straforo gli molanno anche un po' di pollo e di macinato fregato alla cucina della caserma. Sono pure simpatici a volte, e lui li guarda sempre da lontano. Come stavolta, con gli occhi che sembrano dire "ma quand'è che finisce tutto 'sto casino?".
Anzi, no, a ben guardare, con le costole che sporgono dal corpo magro, mi sa che spera in qualche pezzo di carne, perché c'ha veramente fame.
Un forestale prende il fucile, mormora una bestemmia, punta, spara. Ci mette un attimo, gli altri lupi scappano, lui si avvicina, vede quegli occhi che lo guardano ancora, lo sente guaire, gli spara in testa.
Mentre il proiettile gli sfonda il cranio il lupo pensa che finalmente non ha più fame, ed è strano, perché non ha mangiato.
I forestali ritornano a valle, richiamano la folla. Hanno una carcassa di lupo tutto smagrito e cencioso sulle spalle, ma dopo un po' di spiegazioni alla folla basta. Alla fine uno ha sparato veramente ad un altro della moltitudine, ma per fortuna quello l'ha mancato, figuriamoci se sarebbero stati capaci di ammazzare il lupo, per fortuna che c'erano i forestali.
Alla fine sono di nuovo tutti in paese, le telecamere che inquadrano l'animale scarnito appeso ad un trapezio di legno, intervistano i forestali che a malapena hanno voglia di parlare, però quando sei di fronte alla telecamera devi alzare il mento e farti bello perché ti stanno vedendo tutti, sei in televisione, ma quando glielo chiedono nessuno si ricorda chi ha sparato, c'era tanta confusione, c'era il lupo che scappava da tutte le parti. Gli onorevoli parlano, parlano, parlano, non la smettono più di parlare, parlano dei lupi, dell'ambiente, dei boschi, dei forestali, del comune, della provincia, della comunità montana, della regione e del bene del paese tutto. Una mare di parole che inonda le telecamere e le affoga in un'ondata di stupide, inutili, offensive, banalità campate in aria.
Poi, piano piano, la folla si dirada, la festa finisce, i camion vengono caricati, le televisioni se ne vanno. Gli onorevoli sono spariti quando hanno visto le lucine rosse delle telecamere che si spegnevano. I forestali sono al bar a bere.
In piazza rimane la carcassa del lupo, in silenzio, appesa a testa in giù, illuminata da un lampione, gli occhi morti che fissano il selciato.
Occhio per occhio, dente per dente. Uno di noi per uno di loro.
Però di lupi ne rimangono tre o quattro, morti di fame, spauriti e in fuga.
Ma siamo noi ad avere paura dei lupi.

Blue faces





Mai sentito parlare di disastri? Bé, ne ho passato uno nei giorni scorsi... Quelle che avrebbero dovuto essere le mie minime vacanze (meno che minime) nella mia terra natia si sono rivelate una sequenza di momenti allucinanti...
Evito di dire di più, dovrei trovare le parole giuste (non semplice) e l'umore giusto per raccontare (praticamente impossibile).
Comunque qualche foto decente è uscita... Pubblico qui alcune un po' particolari, testimoni di cosa possa rivelare una luce blu nella notte...


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Now playing: Creme - Sulla Collina (No Album Version)
via FoxyTunes

Quindicimila scrittori?

Notizia sconvolgente (mica tanto...) oggi per radio. Pare che nell'ultimo anno siano stati pubblicati in Italia quindicimila nuovi titoli.
Quindicimila libri???
Ci sono circa quattro milioni e mezzo di nuove pagine in italiano che attendono di essere lette, quindi... Quante di queste sono interessanti? Ben poche, credo. L'italiano non legge. Scrive. C'è da chiedersi cosa. viviamo in una delle nazioni con il più basso numero di lettori abituali, dove la fantasia, per quanto regni sovrana nel campo delle finanze, trova ben poca cittadinanza in quello letterario-creativo. L'omologazione è la parola d'ordine, tutti a fare più o meno le stesse cose, nello stesso tempo.
Eppure si pubblicano quindicimila libri.
Io non scrivo storie, le immagino e le sogno. Vent'anni fa le mettevo anche per iscritto, con risultati che oscillavano tra il decente e l'impresentabile. Ogni tanto butto giù due righe, giusto per vedere se ci riesco ancora - no, non ci riesco, ma su questo stendiamo un velo pietoso... - ma quasi sempre gli inizi folgoranti del Nuovo Grande Romanzo Italiano rimangono tali, un paio di pagine di buona prosa che poi si ferma là.
Credo di fare un favore alla letteratura impedendomi di arrivare alla fine e di tentare una pubblicazione. Credo che la grande maggioranza dei nuovi autori farebbe un favore quantomeno alle foreste finlandesi se evitasse di portare alla fine i loro Nuovi Grandi Romanzi Italiani.
E' dura scrivere della buona prosa. Ci vuole una buona padronanza della lingua e dei meccanismi di scrittura (che non vengono insegnati a scuola qui da noi, ma si devono "carpire" da buoni scrittori... Leggere, leggere, leggere!) che, ahinoi, la maggior parte delle persone non ha. Ci vuole un gran talento nel raccontare storie. Se non sapete interessare tre o quattro persone al racconto di come avete rischiato un incidente con la macchina lasciate perdere: non sono loro che sono stupidi, siete voi che non sapete raccontare una storiella semplice semplice. Eppure ci sono tonnellate di persone che scrivono storie interminabili, noiose, deprimenti, insignificanti, scritte in un pessimo italiano, sconclusionate. E, allo stesso tempo, migliaia di editori che pur di prendere un posto nella storia, sperando di essere i prossimi Einaudi, o Rizzoli, o chissà chi altro le pubblicano, senza badare troppo alla qualità di quello che mandano fuori. Tanto il problema delle spese non si pone, visto che quasi tutti gli Alighieri da tazza del cesso sono pronti a pagare le spese di pubblicazione per le loro belle mille copie. L'avevano proposto anche a me, tanti anni fa. Da qualche parte ho anche una recensione entusiasta della quale avevo capito a malapena la metà delle parole... Pagando avrei avuto anch'io le mie belle mille copie stampate. No grazie...
A volte mi chiedo quali siano le motivazioni che spingono tutte queste persone a scrivere. Ho molti dubbi e perplessità su questo, ma un atroce sospetto mi titilla le meningi: non si tratta di letteratura. Si tratta di soldi. Di fare il colpo gobbo. Del riuscire ad imbroccare quell'imperscrutabile combinazione di elementi che consenta di essere il nuovo Federico Moccia, un mare di parole sgrammaticate, senza senso, senza alcuno scopo, dove "ti amo" è la cosa più intelligente e profonda, di personaggi impossibili e mal caratterizzati ma che...
... Fanno guadagnare milioni di euro con il minimo sforzo.
Ecco, torniamo al sogno dell'Italiano Medio: fare un sacco di soldi lavorando il meno possibile.
Tutto torna, ancora una volta.
Purtroppo.

mercoledì 15 agosto 2007

Ferragosto...

Insulso e nullo. Una giornata passata via senza alti né bassi, nessun lato positivo, nessun lato negativo. Un post insulso e nullo, come tanti altri. Qualche saluto che fa piacere, un caldo poco sopportabile. Nemmeno la voglia di aggiornare la grafica del blog (ci sto lavorando...).
Nemmeno la voglia di aggiungere qualche foto.
Ci sono giornate così, nella vita, e non ci possiamo fare niente.
Alla prossima.

mercoledì 8 agosto 2007

StressStressStressStress


Ci sono giornate che cominciano male. Ci sono giornate che cominciano peggio. Ci sono giornate che cominciano così male, così di schifo che non cominciano nemmeno, ma semplicemente continuano dalla pessima giornata che le ha precedute.
Oggi è una di queste giornate.
Ieri ho forato, stamattina è stata una mezza odissea alla ricerca di un gommista aperto (sono stato fortunato, l'ho trovato) e una buona mezz'ora di attesa, con davanti i partenti per le vacanze che hanno la mania di farsi rimettere in ordine la macchina prima di partire (lo so, non è una mania, è una sana abitudine, ma stamattina per me era una mania idiota).
Poi di corsa al lavoro, dove ho beccato le solite cazzate agostane: la gente ha poco da fare e quindi passa il tempo a rompere le scatole, e in più si aggiunge il "piccolo" problema che tutti i referenti sono irreperibili. Se c'è da chiedere qualcosa... Ci si arrangia, si mente spudoratamente oppure si ricorre all'ultima delle risorse disponibili: la sincerità:
- Guarda, non ho nessuno a cui chiedere...
A dire il vero non si tratta nemmeno di sincerità, ma di una - nemmeno troppo velata - richiesta di pura e semplice pietà.
Sono giornate come questa che fanno venire voglia semplicemente di ritirarsi in una stanza con la luce soffusa, distendersi, drogarsi moderatamente (solo droghe leggere...), mettere su della bella musica e pensare il meno possibile al passato, presente e futuro. Far partire l'immaginazione e sognare una bella storia, complicata e divertente, appassionante, non qualcosa di rude e brusco come è di moda adesso ma una specie di film anni cinquanta. Una strada lunga e diritta, il deserto a destra e a sinistra, una vecchia Cadillac anni '50. Una donna al mio fianco. Una Leica in tasca. Lei mi passa una birra, in lontananza ci sono altre miglia da macinare.
Maledetto telefono...


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Now playing: Bruce Springsteen With The Sessions Band - Atlantic City
via FoxyTunes