domenica 23 dicembre 2007

Il popolo come Grande Fratello

I tempi sono cambiati. Ad una velocità impressionante. Le analisi politiche su quello che succede sono inevitabilmente datate, si fa riferimento a modelli politici antichi senza moltissimo spirito critico.
Stranamente è proprio nei modelli più antichi che possiamo ritrovare le chiavi di lettura per capire quello che ci sta succedendo intorno.
La grande polemica, in Italia, è sulla continua esposizione mediatica della classe politica. Ora, non voglio dare giudizi di merito né schierarmi da qualche parte. Mi limito ad osservare che continuamente, in ogni momento, qualunque affermazione, telefonata, presa di posizione o uscita in pubblico di un politico viene immediatamente riportata da giornali, televisioni, blog, siti online e chi più ne ha più ne metta. Mentre prima i tempi di reazione politici si misuravano in giorni, poi in ore, al momento attuale entro mezz'ora da un'affermazione, exploit o intercettazione le reazioni già fioccano. Non è inusuale che in una giornata ci sia tempo a sufficienza per uno scambio di affermazioni politiche anche a più livelli, con dichiarazioni, controdichiarazioni, risposte, commenti, precisazioni e cambi di rotta che si susseguono nel giro di poche ore. E' evidente che i politici stessi reggono con difficoltà questo ritmo, arrivando in poco tempo a pronunciare totali stupidaggini, a commettere azioni riprovevoli che in passato sarebbero, o sarebbero potute essere, compiute nel buio di un ufficio, con giorni di preparazione alle spalle e giorni a disposizione per preparare una ponderata risposta. Adesso non si ha il tempo materiale per elaborare, digerire e tirar fuori una risposta adeguata.
Non voglio elogiare né giustificare la pessima classe politica italiana, ma è evidente come ci sia bisogno di uomini e donne eccezionali per poter gestire questo continuo flusso di informazioni. I nostri politici sono completamente inadeguati allo scopo, ma non è colpa loro, dopo tutto siamo noi che li eleggiamo.
Sembra essere una situazione senza precedenti nella complicata arte del governo della cosa pubblica, ma in realtà non lo è. C'è un parallelo perfetto con quanto è avvenuto nell'infanzia della democrazia: stiamo nient'altro che trasformando la nostra democrazia rappresentativa, imperfetta per definizione, in una abnorme polìs di tipo ateniese.
Nell'infanzia della democrazia la rappresentanza era limitata al massimo e limitata ai casi di necessità (penso ai dieci strategoi eletti da Atene per condurre la guerra), mentre l'assemblea era sovrana. Assemblea con esattamente gli stessi pregi e difetti che vengono attribuiti adesso alla folla: eccitabilità, influenzabilità, mancanza di senso critico, insindacabilità. Quelle stesse caratteristiche che adesso vengono rimproverate al "popolo" (con quel senso dispregiativo che viene usato dai commentatori contemporanei) venivano descritte da Platone, Tucidide, Senofonte. E' quel popolo che ha reso grande Atene, ma è lo stesso popolo che votò per l'esecuzione di Socrate o per lo sterminio indiscriminato degli abitanti di Mitilene. La contraddizione intrinseca di questi fatti è la benedizione e la maledizione di ogni democrazia, sempre più forte tanto più la democrazia è diretta.
I nostri politici, che si lamentano per la continua esposizione mediatica, farebero meglio a ripensare ai loro grandi antenati. Pericle, Cimone, Milziade, Tucidide dovevano confrontarsi con una cittadina di 80000 persone, dove tutti si conoscevano, dove ogni abitante poteva facilmente essere messo alla berlina (persino Socrate, massacrato nelle Nuvole di Aristofane) e persino, se antipatico, ostracizzato, ovvero mandato in esilio per dieci anni solo perché la maggioranza dell'asemblea aveva deciso in questo senso, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Famoso il caso di Aristide, forse il migliore dei politici di quel periodo, che fu ostracizzato solo perché il popolo si era stancato di sentirlo chiamare "il giusto".
Questi giganti dell'antichità riuscirono, nonostante le continue discussioni, gli scontri, gli esilii e i rovesci a creare il faro che tuttora ci guida, il primo vero sistema politico funzionante. Certo, qui si sta parlando di gente di ben altra caratura rispetto agli attuali Fini, Veltroni, Prodi e Berlusconi, e dubito che Platone avrebbe mai scritto un dialogo tra Socrate e Maurizio Gasparri (anche se sarebbe un bell'esercizio provare a scriverlo!). Ma è indubbiamente quello l'esempio che si deve seguire. Dopo tutto, nonostante la continua e pesantissima esposizione all'opinione pubblica (che peraltro si dava per scontata, giusta e necessaria), quegli uomini sono stati in grado di compiere opere che hanno resistito all'onta dei secoli e che tuttora ammiriamo. Anch'io penso che l'esposizione sia giusta e necessaria: ogni elemento della personalità e del comportamento di un uomo (o donna) pubblico deve continuamente essere sottoposto al giudizio del popolo (non inteso in senso dispregiativo). Nel momento in cui qualcuno decide di dedicare la sua vita alla politica perde automaticamente qualunque diritto ad una vita privata: fare politica significa mettersi al servizio del bene pubblico, e i destinatari del bene pubblico, ovverosia noi, hanno tutto il diritto di sapere ogni cosa compiuta e fatta da coloro che hanno delegato a gestire la cosa pubblica. Non esiste comportamento di un politico che si possa definire "privato", la loro influenza sulle nostre vite è tale che qualunque loro azione sia sempre pubblica. La sola esistenza di un comportamento "privato" distinto da quello pubblico è una garanzia che prima o poi i due verranno in conflitto d'interessi, giusto per usare un concetto che da un po' va tanto di moda.
Con buona pace di George Orwell, quindi, la società dell'informazione sta facendo sì che tutti noi siamo in grado di vedere e giudicare ciò che le persone pubbliche, che sono quelle che influenzano ogni nostra azione, fanno. Diventare famosi, anche solo per i quindici minuti citati da Andy Warhol, ci dà un enorme potere di influenza. Ma con questo arriva anche la croce di essere sotto i riflettori tutto il tempo, di essere sotto osservazione ogni momento.
Siamo noi il Grande Fratello. Non è giusto, probabilmente non è onesto, ma è necessario come compensazione per l'enorme potere che l'informazione continua fornisce alle persone in vista.
Dopo tutto i nostri politici potrebbero dirsi ben contenti che per adesso nessuno abbia proposto la reintroduzione dell'ostracismo... Ma ho speranze per il futuro.

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Now playing: Galaxie 500 - Listen, the Snow Is Falling
via FoxyTunes

venerdì 21 dicembre 2007

Ancora sul driver MySql per Ruby in Mac OSX

Pare che il processo descritto nel post precedente non fosse sufficente. Ho dovuto andare nella directory dove era installata la gem (nel mio caso era: /Library/Ruby/Gems/1.8/gems/mysql-2.7) e lanciare la compilazione a manella con un bel:
sudo env ARCHFLAGS="-arch i386" ruby extconf.rb --with-mysql-dir=/usr/local/mysql
seguito da un:
make install
facendo attenzione che il test.rb, che andrebbe eseguito, probabilmente non funzionerà (vi conviene far girare un vostro script con i parametri di connessione settati o, al massimo, far eseguire alla vostra applicazione Rails lo scaffolding.
Tosto, ma funziona.

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Now playing: fIREHOSE - In My Mind

giovedì 20 dicembre 2007

Installare il driver MySql per Ruby su MacOsx

Dopo (appena) tre ore di lotta profonda sono riuscito ad installare il connettore per MySql in Ruby, necessario per poter andare avanti con quei (pochi) progetti di sviluppo che ho in mente.
La documentazione online è un po' carente, quindi mi lancio a pubblicare la mia perla di saggezza (insomma, in questa maniera sembra funzionare...)
Per installare il connettore MySql Ruby in Mac OSX:
basta lanciare il comando:
sudo env ARCHFLAGS="-arch i386" gem install mysql -- --with-mysql-config=/usr/local/mysql/bin/mysql_config
Banale, no? E' evidente che Gems, l'installer di Ruby, ha tuttora qualche problema con i Mac, nonostante l'affermazione della Apple che "MacOSX è la piattaforma ideale per sviluppare applicazioni Ruby on Rails"...
Dovrò fare qualche prova per essere sicuro che funzioni (ho installato l'ultima versione di MySql, e temo le incompatibilità di librerie) ma almeno il client è installato.
Alleluia!

sabato 15 dicembre 2007

Blogger e la matematica... Rinuncio?

Ci voglio provare. Sarò un po' pigro, forse, ma allo stesso tempo mi piacciono le sfide divertenti. Scrivere di matematica e fisica è abbastanza complicato, ma visto il livello pessimo a cui vengono insegnate ambedue le materie nelle nostre scuole - non per colpa dei docenti, ma solo per colpa di chi scrive i programmi ministeriali... Mi piacerebbe che un giorno o l'altro queste personalità misteriose avessero un volto! - non sarà difficile scrivere qualcosa abbastanza interessante.
Peccato che il buon Blogger, la piattaforma a cui mi appoggio per scrivere queste due stronzate, sia profondamente refrattario al MathML.
Sto ancora ragionando per decidere quale dei duemila complicatissimi hack che sono in giro per rendere le formule in maniera decente. Non mi va di aggiungere delle GIF (tra l'altro dovrei divertirmici non poco per poterle far visualizzare in maniera corretta, vista la combinazione di colori che ho scelto), non mi va di usare complicati script e, soprattutto, non mi va di tornare a scrivere LaTEX come 18 anni fa per vedere un'equazione in maniera decente.
E meno male che il Web è stato inventato dai fisici...

Il Mercato Orientale

Genova è una città antica, più antica di quanto possa sembrare. Genova è una città modernista, più che moderna, più di quello che possa sembrare. L'ho vista ben poco alla fine, arrivato di domenica sera e ripartito di martedì. Avrei voluto rimanerci di più, devo dir che mi ha intrigato ed attirato.
Ci si arriva, almeno in aereo, dopo una lunga traversata sul mare. Viaggiando dopo il calar del sole il tutto ha un che di magico: per un'ora ci si trova immersi in un buio totale, senza nemmeno una luce all'orizzonte che ci dia un punto di riferimento. Poi, all'improvviso, l'aereo vira, e la corona di luci della costa ligure si piazza decisamente a destra mentre l'aereo scende verso l'aeroporto. E' una discesa lunga, quasi interminabile, la perdita di quota lenta e impercettibile. A sinistra solo il nero infinito del mare.
A un certo punto appare Genova, avvolta nella luce ambrata delle luci al mercurio. Non è un apparire improvviso, la costa ligure è un susseguirsi ininterrotto di luci abbarbicate sulle montagne. Ci si rende conto che si sta per atterrare solo perché all'improvviso, quando i è già sotto l livello delle gru portacontainer, sotto l'aereo appare il macadam della pista. Dopo un attimo si sente il colpo dell'atterraggio e l'ululare dei motori in inversione che frenano l'aeromobile.
E' strana la prima impressione che mi ha fatto Genova. Il primo impatto mi ha ricordato le immagini che mi erano state trasmesse dal leggere di New Crobuzon. Una città antica, ancorata nel lungo sonnecchiare di prima della rivoluzione industriale, alla quale fossero state incollate quasi a forza le stimmate dell'industrializzazione selvaggia. Un infinito distendersi di palazzi antichi e consunti, alti e incollati alle colline, attraversati da immense strade sopraelevate moderne eppure consunte. Uno sporco creativo per una città steampunk.
E' solo un'immagine di una mente dotata di troppa (inutile) immaginazione, ma funziona ed è forte.
Ho potuto passeggiare solo per un'oretta di sera, macchina fotografica in mano. Il sole stava tramontando proprio in quel momento, la luce era magica. Il centro era inondato delle mille luci di Natale, brulicante di gente. Ho adorato quella sensazione, soprattutto quando, girando per una stradina, ho visto un ingresso nascosto con l'insegna "Mercato Orientale" sopra. Mi ci sono fiondato ed ho trovato proprio quello che cercavo: un mercato coperto, in piena e frenetica attività nonostante l'ora, affollato di venditori e compratori di tutti i colori e di tutte le razze, sorridenti e vocianti. Mai nome fu più appropriato: un piccolo suk, immerso in una città ferma nell'immaginario di un tardo XIX° secolo che avrebbe potuto essere ma non è stato. C'è tutto, a Genova, c'è l'oriente, c'è l'occidente, c'è l'antico, c'è il moderno. Non mi sarei sorpreso a trovare sulle bancarelle una macchina di Babbage perfettamente funzionante, reliquia di un passato mai avvenuto, pronta per essere acquistata da chiunque fosse passato di là.
Grazie Genova, mi hai regalato dei bei momenti, purtroppo troppo brevi. Luciderò gli ottoni sognando quel passato che non hai mai avuto ma che rappresenti anche troppo bene.




sabato 8 dicembre 2007

Ancora una volta in partenza...

Domani (o oggi, Dio solo sa quando finirò di scrivere queso post) sarò in partenza. Volo nel pomeriggio, poi la sera a Genova. Mi fa piacere, non conosco l'Orgogliosa Signora e ne sono attirato. Un'altra di quelle città profondamente, anticamente mediterranee, pregne di storia. Uno di quei gangli di comunicazione, sorta di fibre nervose in formato continentale, che si occupavano di trasmettere idee e avvenimenti su e giù per il Mediterraneo. Nel 1347 una galea da carico genovese partì dal porto di Caffa, in Crimea, allora sotto assedio. Varcati Bosforo e Dardanelli attraversarono tutto l'Egeo e lo Ionio, mari dai nomi antichi e significativi, per approdare a Messina, i movimenti già incerti, la febbre alta. Fu una nave di morti che camminavano quella che approdò in Sicilia, pronta a spargere il regalo più sgradito tra tutti quelli che l'Asia ha mandato all'Europa tramite il Mediterraneo. La Peste Nera, il disastro immane che ha schiantato la civiltà medievale, aprendo allo stesso temo la strada per il Rinascimento.
A Genova nacque (forse, o forse a Barcellona) l'uomo che, per fortuna o per abilità, di certo anche grazie alla sua faccia tosta, ha varcato le colonne d'Ercole dell'immaginario, ponendo per primo (forse...) tra gli europei moderni il piede in America.
Qualcuno dice che si sarebbe dovuto fermarlo, qualcun'altro è contento di come siano andate le cose.
Io non esprimo giudizi di merito, mi limito a prepararmi per quest'ennesimo, breve viaggio, sapendo che probabilmente è l'ultimo di questa serie, con la consapevolezza del buon lavoro compiuto ma, ahimé, anche de poco tempo che ho potuto dedicare a me stesso. E' stato un anno duro, ma lo lascio pieno, veramente colmo di speranze per il futuro... Sarò un illuso?
Mi auguro che ci saranno altri viaggi, il prossimo anno. C'è ancora un mondo immenso là fuori, e non vedo l'ora di vederne il più possibile!