lunedì 29 dicembre 2008

Social network, 2008

Notte. Notte fonda, anzi, visto che è passata mezzanotte. Cambiamo la giornata - per convenzione, a dire il vero, visto che un abitante di Tonga vede già il tramonto e per un Hawaiano è appena cominciata la serata - e cambia il nostro atteggiamento.
Sarà che non si riesce a dormire, sarà la serata strana - eppure convenzionale - ma la percezione cambia.
“Notte fonda” è u periodo strano. E’ il periodo in cui ti tornano alla mente gli Stray Cats, just when a perfect domestic cat is purring on your leg, grazie al suggerimento di un amico.
Con cui, giusto per la cronaca, non parli da quasi un anno, ma che ti è sempre caro da morire, non fosse altro perché è uno di quei pochi ancoraggi che ti legano alla realtà, mentre un forte vento soffia e tenta di strappare gli ancoraggi e portarti in un mondo - diverso forse - pericoloso come degli scogli sottovento.
Non ci parlo da quasi un anno e mi dà un suggerimento. Potenza dei social network. Bé, 2008, sarai stato anche un anno di merda, ma ci hai portato qualcosa che potrebbe - e nota bene, dico solo potrebbe - essere un grande cambiamento della nostra misera, sbattuta e stanca società. Niente di particolare sia bene inteso, giusto una misera sostituzione dell’unica cosa che ci rende veramente umani, il senso della socialità, della tribù che è l’unica cosa che veramente ci importa, quella cerchia di persone, di conoscenti, di amici - ma quant’è difficile da definire questa parola? - che ci definisce molto meglio di una legione di psicoterapeuti assetati dei nostri ricordi e delle nostre paure.
Non siamo ciò che siamo, questa è una balla fantasmagorica tirata fuori da chi ci vuole far passare per individualisti ad ogni costo, per schiavi, servi del nostro autocompiacimento e della nostra voglia di essere qualcuno prima ancora di essere parte di un gruppo. Invece siamo il nostro gruppo, le nostre conoscenze. Eugenio ha percezioni di me diverse da quelle di Francesco, e a sua volta diverse da quelle di Fulvia. Davide non ne parliamo. Maura è una storia a sé.
Eppure noi siamo, né più né meno, quello che loro percepiscono, una serie di armoniche tutte diseguali eppure complementari, che concorrono impietosamente a formare quel suono che ci definisce da cima a fondo. Solo il battito fondamentale, le battute per minuto che ci scandiscono, sono il nostro contributo. Il resto, il freddo e confusionario resto di noi stessi, non è altro che la somma di queste miriadi di impressioni diverse. Collega, amico, capo, sottoposto. Amore. Figlio. Noi siamo quella somma, quella combinazione, ognuno un tono a sé impercettibile e continuo che ci delinea lentamente, armonica dopo armonica.
A volte un suono bellissimo, a volte terribile. Quasi sempre interessante.
A meno che - e il vostro umilissimo autore si scusa per lanciarsi in una metafora così banale - le armoniche che compongono e modulano questo suono non siano così rade, così poche e così accordate nella loro esilità da fondersi in un suono primario, in un onda quadro, di battito prevedibile e definito, che dopo poco scade in pulsazione, degrada in fastidio, per raggiungere in pochi istanti l'umiliante condizione di rumore di fondo, un piccolo suono che non ci raggiunge se non per le sue occasionali, disturbanti discordanze.
Per come la penso io è un destino di poco peggiore della morte.
Forse è per questo che amiamo tanto i social network.
Sono un surrogato - certo, niente di reale - ma ci permettono - almeno nella nostra mente malata e poco attenta - di illuderci di vivere ancora nella piacevole nebbia famigliare del giro di amicizie, quella cosa misteriosa che il meraviglioso mondo denominato Italia 2008 sta facendo di tutto per strapparci via. A malapena parli con quelli con cui lavori, se sei fortunato ne vale la pena, se la sfiga ti ha eletto a tuo compagno preferito sono delle personalità con le quali non vuoi avere niente a che fare. Torni a casa imbacuccato in una cassetta di lamiera assetata di benzina che non fa altro che isolarti da tutto quello che sta intorno, freddo, pioggia o contatto umano che sia. Torni a casa e non vuoi sentire nessuno perché costa fatica, ti schianti davanti alla televisione, bevi, mangi, ti fai una canna, mangi di più.
E stai con te stesso, invariabilmente, mentre il tuo suono perde di ricchezza, le armoniche si sfilano una dopo l’altra, il ritmo si fa costante e continuo, senza accenti né sbavare di una virgola.
Il tuo suono si fa sempre più monotono e noioso. Non interessante.
Provare ad inserire un battito nuovo diventa sempre più difficile. Di più, inutile.
Una sigaretta dopo l'altra finisci per convincerti che quel suono sei veramente tu... E hai voglia di qualcosa di più. Si cambia il ritmo, si inserisce una variazione. Chorus, verse, chorus, verse, middle eight, chorus, verse. La pulsazione comincia ad acquistare vita. I contatti si moltiplicano. Ridi con uno, scherzi con l'altro. Usi qualcuno per far riaffiorare quei ricordi lontani che un tempo erano te. Solo che non sono pericolosi scogli affilati quelli che affiorano, ma dolci spiagge che possono ospitare, sia pure per qualche momento, la tua barca annoiata.
Sto andando bene? E' un buono stile? Parlo, Comunico, Racconto?
Abbiamo oscillatori e campioni al posto dei buoni vecchi basso, chitarra e batteria, è il 2008 - quasi 2009 - e dobbiamo affidarci a queste - stramaledette! - reti di comunicazione per poter ricostruire una parvenza di rete sociale. Troppo complicato, troppo doloroso rientrare nella realtà.
A volte crei, senza accorgertene, nuovi legami. Il collega di lavoro che comincia a scambiare commenti con l'amica che non vedi da dieci anni. La causa, inventata per una semplice associazione di idee, che vede assieme l'amico fraterno e il ragazzo che lavora per te, senza distinzioni. E' figo quando succede, sembra come una bevuta tra amici del periodo d'oro. Con la gente che si presentava e che dopo dieci minuti - e, a dire il vero, anche dopo tre o quattro birre - era un amico fraterno. Un pallido surrogato, certo, ma a modo suo funziona.
Dio, certe volte vorrei che qualcuno alla Cisco desse di matto e mandasse a puttane tutta questa roba, tutta quest'infrastruttura che ci dà una minima, minima possibilità di non impazzire tutti o di non tramutarci tutti in automi senza senso.
Ma devo stare attento ad esprimere queste aspettative. Come dice un antico proverbio arabo:
Attento a pronunciare i tuoi desideri ad alta voce nel deserto. Allah potrebbe sentirli. Ed esaudirli.

mercoledì 10 settembre 2008

Come salvarsi dall'LHC

E va bene, mi ci butto anch'io. Un po' di pubblicità, è che diamine!!!
Darò qui una bella ricetta per trarre il massimo dalla fine del mondo annunciata dall'accensione dell'LHC.
  1. Trovare una vergine (lo so, è difficile. Praticamente impossibile. Ormai sono diventate più difficili da trovare del Bosone di Higgs. Ma con un po' di fortuna...)
  2. Dirle che non è il caso di morire vergine, che il mondo sta per finire, e che quindi di conseguenza sarebbe il caso di fare qualcosa.
  3. Offrirsi generosamente per risolvere la situazione.
Quando poi, domani, il sole sorgerà come sempre, senza che sia successo niente - perché, parliamoci chiaro, l'esperimento che si avvierà nei prossimi mesi non presenta alcun rischio - ci sarà il problema di spiegare alla non più vergine che, purtroppo, il mondo non è finito (colpa di quegli irresponsabili degli scienziati, ovvio). In tal caso se la giovane avrà gradito l'esperienza la si potrà ripetere... In caso contrario va da sé che, con poche modifiche, si potrà ripetere "l'esperimento".

mercoledì 25 giugno 2008

Come scrivere un libro di successo

Voglio fare i soldi. No, non voglio diventare così ricco da non dovermi più preoccupare dei soldi da spendere per comprare una villa alle Cayman, ma voglio fare i soldi, quelli che mi permettano di vivere una vita tranquilla, poter scegliere il posto dove vivere e non dovermi preoccupare ogni volta che vado a fare la spesa.
Non chiedo molto, mi basterebbero un'ottantina di migliaia di euretti all'anno.

E, se non ci si vuole ammazzare di lavoro, la maniera migliore per ottenere questo è scrivere (la migliore è più onesta maniera per far soldi, a parte lavorare).

Il problema, quello vero, è che non basta scrivere: gli italiani - me compreso - sono tutti scrittori. Sfortunatamente siamo un po' scarsi di lettori, ma questa è un'altra storia... Bisogna scrivere un libro di successo, vendere un bel po' di copie, riuscire ad ottenere buoni introiti. Considerando che le due cose più lette in lingua italiana sono "Tre metri sopra il cielo" e la Gazzetta dello sport l'impresa può sembrare immane ed impossibile, ma in realtà qualche possibilità c'è.
Seguirò l'ispirazione datami da migliaia di blogger in tutto il mondo: invece di fare le cose darò le regole per farle - è sempre molto meglio predicare che agire - e per una volta soccomberò anch'io alla regola della "lista delle cose da fare", contenuto principale delle migliaia di cose presenti in Internet:
  1. Quasi tutti gli scrittori moderni sono introspettivi. I personaggi sono sempre stracarichi di problemi, antieroici, delusi dalla vita... Un incrocio tra Dostoevskij e David Leavitt. Non c'è da sorprendersi: non è nient'altro che lo specchio dei tempi attuali, in cui non facciamo altro che piangerci addosso alle nostre disgrazie, vere o immaginarie che siano. Volete fare i miliardi? Basta scrivere di qualcuno che "apparentemente" sia così, ma poi, nella realtà (letteraria) della vostra opera, si riveli un superfigo. Non dico una specie di Superman, ma uno che, invece di stare a piangersi addosso in continuazione, sia in grado di intervenire attivamente sul suo mondo e sulla storia raccontata invece di beccarsi tutte le disgrazie come se un treno (incazzato) gli piombasse addosso. Una specia di Jerry McGuire, per capirci.
  2. Delle lunghe camminate sui lungomare passate a riflettere sul tramonto e sull'esistenza non gliene frega niente a nessuno. Un po' d'azione, qualche mistero da risolvere (sul quale dare indizi, ma non troppi, lungo la storia), qualche nome altisonante da infilarci, o anche una storia basata sullo sport, che è pur sempre una guerra metaforica, o su una guerra vera e propria (ma attenzione in questo caso alle implicazioni politiche che devono sempre essere il più neutrali possibile/favorevoli al pensiero della maggioranza). La musica può essere una buona alternativa. Un ottima fonte di ispirazione possono essere i film americani sullo sport: sono tutti uguali, a malapena cambiano i nomi e lo sport dei protagonisti, eppure sono sempre piacevoli da vedere. Ci sarà un motivo, no? In alternativa ci si può buttare tranquillamente sulla storia d'amore: lui ama lei, lei ama lui, succedono casini, si lasciano, si rimettono e si rilasciano... Qualunque puntata di una qualunque telenovela può dare buoni consigli. L'unico problema è che ce ne sono già migliaia in circolazione, e la possibilità di scrivere un secondo Romeo e Giulietta sono scarsine...
  3. L'italiano è importante. Ma l'italiano è una lingua prolissa, che anche troppo facilmente si lascia andare a lunghe digressioni senza senso. E in più la virgola è una nemica, se possibile da evitare. Scrivere in buon italiano può a volte essere negativo: frasi non troppo lunghe, in cui accarezzare il lettore e non costringerlo a seguirci in voli pindarici. Non bisogna rischiare di farsi catturare dalla tentazione del cazzeggio linguistico continuo: frasi grammaticalmente corrette, ricche di barocche metafore affascinanti ma che... Non portano a nulla. Un buon esercizio, da consigliare a tutti: leggere ad alta voce quello che si scrive; se suonerà bene è molto probabile che si sia anche scritto bene... E il viceversa.
  4. Esotici. Ma non troppo. Ci siamo fondalmente scocciati di un'Italia quotidiana che non fa altro che provare a spezzarci le gambe. Tutti. Ma non bisogna esagerare: siamo pur sempre la nazione di quelli che si lamentano in continuazione del caffé all'estero - che non è mai buono come quello italiano, per la cronaca - e che ordinano l'amatriciana a Dublino. Anche se è scotta e fatta con bacon e cheddar. Quindi bisogna inserire elementi familiari, che ci possano far sentire più vicino quest'esotismo edulcorato. Se si è a Dublino i nostri eroi devono trovare guanciale e pecorino romano, i bucatini De Cecco e mangiarsi un'amatriciana coi fiocchi. Se ci sono personaggi stranieri dovranno pensare come noi Italiani, o al massimo con l'idea stereotipata che abbiamo di loro: Irlandesi ubriaconi, Francesi spocchiosi e Tedeschi precisissimi fanno parte della ricetta, così come gabinetti sporchi in Grecia e Turchia, Americani sempliciotti e Africa misteriosa. Con magari un tocco di complotto militaristico in America Latina e un piano israeliano per colpire gli Arabi prima che loro attacchino Israele. Prego apprezzare il fatto che ho fornito almeno un paio di personaggi, altrettanti spunti per una trama abbastanza interessante e una buona atmosfera generale... Se qualcuno trova un titolo figo e si sobbarca l'infida fatica di scrivere quattrocento pagine di prosa appena decente sappia che farà un sacco di soldi... Dei quali gli chiedo solo un misero 1%.
Mi fermo a quattro consigli, sono pigro. Ci sarebbe un quinto consiglio però: non essere pigri.
E già, perché come disse qualcuno, fare lo scrittore sarebbe un grande lavoro, non si dovesse scrivere... Purtroppo è vero, e quindi esiste un'unica maniera per affrontare e superare questo problema: scrivere, e scrivere in continuazione. Darsi un obbiettivo costante, e scrivere, che so, dieci pagine al giorno come se si dovesse timbrare il cartellino, senza curarsi delle giornate nere, delle telefonate, di andare a fare la spesa e tutto il resto. Produrre centinaia di paragrafi al giorno, alcuni buoni, altri meno buoni. Impegnarsi su ogni parola ma, allo stesso tempo, superare le impasse con la semplice, stolida testardaggina. Il primo giorno sembrerà impossibile, il secondo difficile. Il terzo sarà complesso, ma dopo un po', con l'esercizio, verrà naturale e semplice. E producendo migliaia di parole al giorno si potrà limare e scartare fino ad arrivare ad un buon prodotto. Perché il grande scrittore non si riconosce dalla quantità di carta che produce, ma da quella che butta.
Mio malgrado devo ammettere che è questo il mio più grande problema: posso predicare bene, ma sono il primo che, per un motivo o per un altro, non riesce a mettersi ogni giorno davanti alla tastiera a buttare giù dieci pagine - che siano di grande letteratura o di immondizia - sforzandomi e scrivendo.
Magari un giorno ci riuscirò. E allora - parola di Giovane Marmotta - nel giro di sei mesi avrò finalmente fatto i soldi nella maniera più semplice possibile.
L'importante, nei sogni, è trovare sempre un piccolo ostacolo che ci impedisca di realizzarli...

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Now playing: Buffalo Springfield - For What It's Worth
via FoxyTunes

lunedì 23 giugno 2008

La sicurezza dell'LHC

Finalmente, dopo tanto, troppo tempo durante il quale le peggiori speculazioni avevano trovato libero sfogo in innumerevoli cavolate basate più che sulla fisica sui nomi d'impatto di alcuni "strani" oggetti, il CERN ha pubblicato una serie di rapporti sulle possibilità che quanto prodotto nell'LHC possa annientare il mondo.
Ricapitolando brevemente alcuni avvocati in vena di facezie avevano fatto partire - ovviamente con gran pubblicità e intervento dei mass media - un paio di cause in cui si accusavano gli scienziati del CERN di rischiare letteralmente la distruzione del mondo (o anche, bontà loro, dell'intero universo) creando buchi neri, strangelets, bolle di vuoto o anche puffi blu, se per caso avessero inserito nell'acceleratore un Gargamella incavolato.
Fortunatamente (o no?) le probabilità che questo accada sono meno che infinitesimali. Il CERN ha pubblicato una serie di rapporti che spiegano i motivi per cui l'LHC è meno pericoloso di una teiera messa a bollire. Si possono trovare in rete (qui c'è un riassunto in italiano, qui lo stesso riassunto in inglese, qui il rapporto completo, in inglese, integrato da un addendum sulle strangelets che, tra l'altro, è un interessante pezzo di buona fisica...).
Penso che, ancora una volta, la summa ignorantia dei mezzi di informazione abbia compiuto il suo giro. Sono pronto a scommettere che molti giornalisti generalisti solleveranno dubbi (perché il CERN sente la necessità di controbattere a questi timori se non c'è un fondo di verità?) quando invece si tratta di un'esemplare tentativo, da parte dei fisici dell'organizzazione ginevrina, di spiegare in termini comprensibili al grande pubblico il motivo per il quale essi sono così tranquilli.
Va da sé che la risposta corretta da dare a questi timori sarebbe stato un banale "studiate un po' di fisica e così capirete che state dicendo un mucchio di stupidaggini", ma fortunatamente lassù a Ginevra sono dei signori, molto più gentili di quelli che li accusano.
Sono veramente curioso di vedere quali e quanti giornali riporteranno queste educate ed esaurienti risposte... E quanti, significativamente, le ignoreranno per dare spazio all'ennesimo reportage sugli amori della Canalis.

sabato 21 giugno 2008

La forza degli antenati (parte II°)

Sono a Brindisi, per una toccata e fuga. Il mio Tiranno, il Tempo, continua ad essere padrone. Miliardi di cose da fare, mancanza di tempo per farle, e contemporanamente un tale turbinio di idee e di propositi per il futuro che, a metterle tutte in conto, avrei bisogno di quattro vite per compierle.
Nel frattempo dovrei anche guadagnarmi da vivere, e la quinta vita che sono costretto a vivere per farlo finisce per essere l'unica vita che vivo. Nel frattempo le altre quattro vite, con tutti i loro propositi, le brillanti idee, i rapporti sociali che vorrei avere vanno, molto semplicemente, a farsi fottere.
Conosco molto bene quegli altri quattro Silvio potenziali che vivono quelle vite. Sono brave persone, molto migliori di me, ma hanno tutti una cosa in comune: non devono preoccuparsi di quello che avviene giorno per giorno, non devono rispondere al telefono, non hanno madri malate, compagne bisognose di supporto, lavori stupidi dove si passa il tempo a fare cazzate senza senso per accontentare dirigenti idioti. Non vivono in una nazione dove la cosa più importante, nel momento in cui un governo di tendenze vagamente nazipopuliste ha conquistato il cuore dei miei connazionali, è che la nazionale vinca un'idiota partita di calcio contro la Spagna. Non hanno quel macigno sul cuore che mi impedisce di formulare un pensiero chiaro e distinto.
A volte li odio, e vorrei che non esistessero. Peccato che loro mi rispondono con un sorriso sarcastico. "Appunto, noi non esistiamo, sei tu che esisti e ti becchi tutta la merda, noi siamo in un non-luogo, in un non-tempo. Se noi esistessimo saresti tu a non esistere, se non come incubo. Il peggiore degli incubi."
Si, la diagnosi è facile, sono depresso e senza prospettive, non certo lo stato d'animo migliore per far funzionare il cervello.
In tutto questo piombano degli avvenimenti strani, come dei segnali. Ieri sera ho recuperato, con l'impareggiabile aiuto di Maura e di mia madre, le vecchie foto fatte da mio nonno.
Una serie infinita di foto che partono dal mio bisnonno, Francesco Mongelli, notabile morto negli anni cinquanta del secolo scorso dallo sguardo ironico e allegro, per proseguire con decine e decine di immagini che immortalano questo rubicondo giovane mentre studia medicina a Napoli, mentre si sposa con una bella ragazza, fa un paio di figlie e assiste ai grandi avvenimenti del suo tempo, come l'invasione dell'Albania nel '39 (si, li abbiamo invasi noi per primi) e la guerra. Qualche foto scampata alla censura lo ritrae, medico militare, sul fronte russo. La divisa degli Alpini mentre è a Trieste nel giugno del '43, mano nella mano con moglie e figlie, ignaro che da lì a poco sarebbe stato trascinato in un carro bestiame per una vacanza premio al Sennlager, in Germania, a tempo indeterminato.
Poi la guerra finisce, il fisico già tendente alla pinguedine si espande, le figlie diventano tre e lunghi viaggi lo portano in giro per tutta l'Italia. Foto dopo foto li si vede ridere e scherzare nelle piazze storiche di questo paese, con giusto un paio di automobili a volte sullo sfondo, la maggior parte delle volte vuote e tranquille.
Mio nonno è morto questo stesso giorno, ventuno anni fa. La prigionia in Germania gli aveva massacrato un cuore già troppo generoso, ma fortunatamente ha retto abbastanza a lungo. L'ho conosciuto, lo ho amato, è stato il mio vero maestro anche se è morto troppo presto per potermi avviare verso la strada che lui aveva iniziato. Si è limitato a darmi un'impronta generale, creando quegli altri Silvio che adesso mi tormentano... Anche se, a dire il vero, dovrei solo prendere il coraggio a due mani, mandare al diavolo tutto e tutti e riunirmi con loro, per poter finalmente seguire la sua strada. Forse è troppo tardi, maledettamente troppo tardi, sia per me che per un mondo che, rispetto a quelle foto vecchie di mezzo secolo è più, ha fatto passi da gigante. Purtroppo molti di quei passi sono stati fatti nella direzione sbagliata, esattamente come è avvenuto con me.
In questo trovo un po' di consolazione, alla fine non faccio altro che essere lo specchio di questi tempi impazziti che - invece che conquistare la Luna - si sono buttati nel labirinto di contraddizioni senza senso che sembra essere il marchio indelebile del duemilaeotto. Un duemilaeotto così profondamente diverso da quanto vedo in quelle foto, specchio del secolo breve che adesso, nonostante i milioni di morti, le crudeltà, le privazioni e gli scontri titanici sembra essere tanto più attraente.
Non fosse altro perché loro, gli abitanti di quel secolo, nonostante le minacce e le paure fossero tanto più grandi e terribili di quelle che affrontiamo noi, riuscivano lo stesso a ritagliarsi degli spazi in cui essere allegri e spensierati, in cui condurre per mano una bella moglie e due bambine felici su un lungomare di una città in guerra.
Ho il diario del nonno, so che anche lui aveva le sue paure. Devo chiedergli un ultimo aiuto, dopo che ha fatto tanto per me. Devo imparare da lui, devo trovare la maniera di vivere e riunirmi con quegli altri Silvio che tanto si aspettano da me. Se lui ci è riuscito ci riuscirò anch'io.
Non fosse altro perché non ho alcuna alternativa.

sabato 14 giugno 2008

Conquisteremo mai la luna?

Correva l'anno 1969. Io - come molte delle persone che conosco - non ero ancora nato. Scendendo da una scaletta dal peso e dalla costruzione accuratamente controllati un uomo vestito con una spessa tuta bianca si accingeva a far un piccolo passo. Per lui. Per l'umanità sarebbe potuto essere un passo gigantesco.
Neil Armstrong si bilanciò sulla scaletta, spostò il peso in avanti e fece quel piccolo passo, pronunciando la sua famosa frase. Non disse "potrebbe essere" un balzo gigantesco per l'umanità. Disse "è".
Si sbagliava. Ma non poteva saperlo.
Dopo la missione di Armstrong ci furono altre sei missioni Apollo verso la luna, delle quali cinque riuscirono in maniera ammirevole, rendendo la visione di un uomo inguainato in una goffa ed ingombrante tuta bianca che camminava sulla superfice polverosa del nostro satellite una routine. Quasi una noiosa routine. Gli anni passarono. Ci furono lo Skylab e le Salyut, lo Space Shuttle e la MIR, il Challenger saltato in aria, il Columbia disintegrato e sparso su tutti gli Stati Uniti, la ISS e le immagini del telescopio Hubble.
Però sulla Luna non ci siamo mai tornati. E, a ben vedere, non è che la presenza umana nello spazio abbia poi portato a tanto.
Certo, le missioni automatihce ci hanno regalato tante soddisfazioni. Abbiamo visto le tempeste su Giove e i vulcani di Io, abbiamo mandato rover che tuttora ruzzolano per la superficie di Marte. Escluso Plutone ogni pianeta del Sistema Solare è stato esplorato - per risolvere l'impasse si è deciso alla fine che Plutone non è un pianeta, così adesso possiamo dire che abbiamo raggiunto e fotografato ogni pianeta del Sistema Solare - e giusto per rincarare la dose abbiamo dato uno sguardo ravvicinato anche ad un paio di comete e di asteroidi. Ma la gente nello spazio non è più andata oltre la bassa orbita terrestre, come se fossimo dei ragazzini ai quali la mamma avesse detto, con amore ma decisione, di non allontanarsi dal cortile di casa. Noi, da bravi bambni, abbiamo obbedito.
Quando John Kennedy lanciò la sua sfida alla Luna - e, casualmente, all'Unione Sovietica - disse delle parole pregnanti: "non lo faremo perché è facile. Lo faremo perché è difficile". Questo era lo spirito che impregnava l'intero programma Apollo: fare qualcosa di impegnativo, di terribilmente difficoltoso, per poi guardarsi indietro, assaporare il momento di trionfo e pensare "Cacchio, cosa abbiamo fatto..." sorridendo e scuotendo la testa. Più o meno la stessa meravigliosa sensazione che devono aver provato i fellah egiziani quando, dopo anni di lavoro, seduti sulle rive del Nilo, hanno visto per la prima volta la Grande Piramide finalmente completa, scintillante al sole del tramonto.
La Grande Piramide, come il Progetto Apollo, è un monumento immortale alla difficoltà dell'opera, alle traversie passate per portarla a compimento, alla tenacia, la costanza e l'ingegno degli uomini che hanno penato per portarla a compimento.
Come tutte le grandi realizzazioni il progetto Apollo lasciò dietro di sé un vuoto immenso da colmare. Cosa fare dopo? La NASA aveva i suoi progetti: una grande stazione spaziale, un volo su Venere, non per toccare la superficie venefica e rovente, ma semplicemente per andarci. Poi, chissà, Marte, una base sulla Luna. E poi l'infinito, nello spirito della "nuova frontiera" predicata da Kennedy e fatta propria da Johnson.
Non se ne fece nulla. Il Problema, il vero problema, è che dopo che si era riusciti ad inviare degli astronauti sulla Luna e a farli ritornare vivi a terra, queste imprese, per quanto grandiose, non sarebbero stato più delle imprese difficili. Costose, certo, costose all'inverosimile, ma non difficili: realizzare questi viaggi avrebbe significato tradire in pieno le aspettative e la sfida rappresentate dalla frase di Kennedy. Saremmo potuti andare su Venere, nuovamente sulla Luna, forse anche su Marte, ma di certo non avremmo più potuto dire che lo facevamo perché era difficile. Il lavoro più complicato era già stato fatto, a quel punto non restava che ordinare altri Saturno V, portare altro materiale oltre il pozzo gravitazionale della Terra ed assemblare astronavi sempre più grandi per andare sempre più lontano.
Disgraziatamente dire "lo facciamo non perché sia difficile, ma perché sappiamo già come farlo e basta spendere qualche miliardo di dollari e ci arriviamo" non ha lo stesso appeal di "lo facciamo perché è difficile". E infatti non ha funzionato, non l'abbiamo fatto. Anche perché, triste a dirsi, adesso come adesso i ritorni economici di un programma costoso e grandioso come quello visualizzato dalla NASA alla fine degli anni sessanta sarebbero scarsini, e di sicuro poco remunerativi.
L'attuale - fortunatamente per poco - Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, nella sua ansia pseudo Keynesiana di fornire nuove sfide alla sua nazione in maniera tale da creare occupazione e mantenere l'illusione della nazione leader nel mondo, sta tentando di lanciare un nuovo programma spaziale che abbia come obbiettivo nuovamente la Luna e, eventualmente, Marte. Purtroppo il progetto Constellation manca di appeal: dal punto di vista tecnico non è nient'altro che il vecchio progetto NASA per andare sulla Luna del 1963, accantonato poi per la fretta di battere i russi con uno più rischioso e costoso (ma più rapido nella sua realizzazione). Le tecnologie proposte sono reliquie vecchie di cinquant'anni, con l'unico pregio di essere sicure e affidabili e relativamente poco costose; giusto per fare un esempio le prove in galleria del vento della "nuova" navicella Orion sono state ridotte al minimo, visto che in realtà non è nient'altro che la vecchia Apollo un po' ingrandita. Se poi andiamo sul piano della comunicazione e dell'impatto mediatico... Bé, Constellation ci darà ben poco di più di Apollo, a parte una migliore qualità delle immagini televisive. E sicuramente nessuno potrà dire che si tratti di qualcosa di rischioso e difficile. Constellation è solo lento, metodico e immensamente costoso, anche se non quanto sarebbe costato il programma della NASA dopo Apollo. A malapena ci accorgeremo del ritorno sulla Luna.
Quando, allora, conquisteremo veramente la Luna? Una luce di speranza c'è: Burt Rutan e Richard Branson ci stanno di nuovo portando nello spazio in maniera avventurosa e poco sicura, ma con quel ghigno satanico che contraddistingue i veri esploratori. Le loro fusoliere poco costose in resina epossidica e i modellini in plastica portati in giro su vecchi pickup scassati per testarne l'aereodinamica mi danno, paradossalmente, più fiducia dell'approccio metodico degli impiegati della NASA. Avranno i loro problemi, e forse anche qualche morto, ma sono sicuro che in questo momento stanno sorridendo alla Luna, pronti a spiccare il prossimo, rischioso salto.
Proprio perché è difficile.
E poi la loro prima astronave si chiama Enterprise...

venerdì 13 giugno 2008

Mia cugina

Mia cugina non lo immagina nemmeno, ma lei praticamente è il mio idolo.
E' una donna minuta, gentile, molto delicata, anche se capace di una forza assolutamente inaspettata, riservata ovviamente solo ai momenti di bisogno. Mia cugina ha realizzato molte delle cose che - se fossi stato solo un po' più forte e determinato - avrei potuto fare: ha studiato duramente fuori sede (lei a Bologna, io, inutilmente, a Perugia). Si è laureata in medicina in sei anni, senza perdere nemmeno un mese, uscendone fuori anche come un bravo medico. Durante quel periodo si è anche mantenuta agli studi lavorando come cameriera.
Come specializzazione ha scelto Oncologia Pediatrica. Ora, non lo dico perché lei e mia cugina e le voglio un mondo di bene, ma credo veramente che passare la vita a curare bambini con il cancro sia quanto di più vicino alla santità possa immaginare... E lo dice un laico convinto come me.
Come tante altre persone intelligenti e volenterose anche lei si è schiantata contro il muro della stupidità accademica italiana. E' un sistema perverso e che si autosostiene, impedendo a qualunque persona dotata di un pensiero brillante ed originale di sviluppare le proprie ricerche, di portare avanti le proprie idee (me lo diceva Umberto, uno dei matti che mi stimano...).
Io ne sono stato schiacciato: alla fine questa situazione ha rappresentato uno dei motivi per cui ho mollato l'università. Lei, invece, ha reso questa difficoltà uno stimolo ancora maggiore per continuare a lottare, per farsi avanti. Non solo: cogliendo al volo un piccolo colpo di fortuna è riuscita ad andarsene dall'Italia - forse il mio sogno più potente e pregnante - e a proseguire nella specializzazione a Parigi, nel migliore centro oncologico d'Europa.
Grandiosa. Essendo quella persona intelligente e sensibile che è, non solo è riuscita in poco tempo a padroneggiare il francese (e, en passant, l'inglese), del quale non parlava praticamente una parola, ma è riuscita a fare carriera, diventando stimata e richiesta. Adesso è ad un passo dal Ph.D., fa ricerca, ma non contenta continua le sue guardie in corsia, curando i suoi piccoli malati dalla malattia più brutta del mondo.
Un paio di settimane fa ero a Parigi e ci siamo incontrati. Mi ha presentato il suo fidanzato - Stefàn, non so se capisci quello che scrivo visto il tuo scarsissimo italiano, ma sei una persona meravigliosa ed eccezionale, siete una coppia fantastica... - presentandosi romanticamente abbracciata a lui nel Jardin des Plantés. Hanno portato me e Maura a prendere un aperitivo sul Canal Saint-Martin, poi a cena a Belleville, come omaggio a Pennac... E oltretutto abbiamo mangiato anche bene. ;) Una serata fantastica, da far venir voglia di passarne molte altre così.
Grazie Michaela, sei una delle persone che mi danno veramente fiducia nell'umanità. E, come ho già detto all'inizio di questo (melenso) post, sei uno dei miei idoli.
Continua così, almeno tu. Non farti fregare.

giovedì 12 giugno 2008

Nella terra delle colonne sonore perdute

A volte, quando mi sento dell'umore giusto, penso alla mia vita come ad un romanzo, come un film. Ultimamente trovo il film particolarmente noioso, qualcosa di paragonabile ad un film di Kieślowski... Ma questa è un'altra storia.
E' un esercizio utile, una mia cara amica - ora purtroppo tragicamente scomparsa - chiamava questa sensazione andare in catena: ritrovarsi improvvisamente a vedere dall'esterno la propria vita, le proprie azioni, le proprie idee come se raccontate da un narratore impersonale. Si può completare il tutto con qualche inquadratura, magari particolarmente ardita, innovativa, con delle luci particolari e delle scenografie suggestive; non necessariamente fantascientifiche o elaborate, sia ben chiaro, niente di simile alla galleria degli specchi di Versailles o al cornicione piovoso dell'ultimo scontro di Blade Runner. Presa nel contesto giusto anche la spoglia stanza anonima nella quale sto scrivendo queste due parole può diventare una scenografia suggestiva.
E' un'abitudine che io ho sempre considerato salutare. Oddio, probabilmente la maggior parte degli psicologi potrebbe cosiderarla molto distante dal "salutare". Credo che sia una di quelle cose che, portata appena un po' più in là, possa portare ad una vera e propria psicosi, se non all'autismo più totale.
Ma, alla fine, io sono un po' autistico, quindi non ne sono del tutto preoccupato.
Collegato all'andare in catena è un altro mio viziaccio - se così si può dire - quello del narrare. Narrare non è banale. E' un qualcosa che riesce bene, di solito, con qualche bicchiere di alcool in corpo. Voi che leggete (sempre i miei dieci manzoniani lettori) potreste provarla in qualche momento: prendete la situazione in cui siete, fate un respiro profondo e cominciate a narrarla, come se foste un autore. Un esempio?
Nell'ufficio erano rimasti in pochi, vista l'ora tarda. Qualcuno vagava di stanza in stanza con poco da fare, giusto per accumulare qualche minuto di straordinario in più. Qualcun'altro, curvo sul proprio computer, lottava con il codice che scorreva sullo schermo, tentando di risolvere quei problemi che aveva dato per banali e semplici e che invece si stavano rivelando ostici ostacoli, impossibili da superare, fonte di altri problemi, di telefonate in tono sommesso a compagne e compagni scocciati ed ansiosi, di occhi rossi e lacrimosi accompagnati da mal di testa inopportuni.
In un ufficio deserto, solo, Silvio batteva sulla tastiera con costanza. Joe Strummer suonava dal suo computer mentre lui affidava il suo pensiero del momento al suo blog. - "Dovrei farlo più spesso" - pensava mentre scriveva, stupito di come dall'aridità della sua vita di quei giorni venissero fuori lo stesso parole abbastanza interessanti... O almeno lo sperava. Raccontare, per lui, era stata una seconda natura. Giocare con le parole, carezzare con destrezza le menti di chi leggeva, passare rapido le dita dei suoi pensieri sui punti più sensibili di chi ascoltava era stata per lui un'attivita paragonabile solamente al sesso... Anzi, a volte anche più soddisfacente.
Però, tristemente, quella che era stata la parte più amata di se stesso stava diventando lentamente sempre di più un ricordo. E' un momento triste quando delle parti di sé diventano un ricordo, un segno dei tempi che cambiano. In peggio. Mentre scriveva Silvio pensava a quelle cose che si era lasciato indietro senza volerlo. Non narrava più tanto spesso, non scriveva quasi più. Le parole non scritte che erano fuggite dalla sua vita avevano portato via con sé il sorriso sardonico che gli permetteva di sopportare noia e disagio, paure e momenti di sconforto. E, soprattutto, avevano portato via con sé le colonne sonore.
Quelle musiche così importanti. Anni addietro Silvio aveva passato ore ed ore a scegliere con attenzione quali musiche ascoltare e in quale momento. Come in mistiche cerimonie religiose, da adepto di un culto misterico quale era, si era chiuso nel buio della sua stanza, preso con religiosa reverenza i vinili ingombranti, ammirato le copertine, fatto passare il panno sul disco per pulirlo dalla polvere. Aveva preso in mano la puntina, l'aveva posata con delicatezza nello spazio bianco tra due brani, avviato il registratore, pronto ad interromperlo nel momento esatto in cui la conzone avesse esalato l'ultimo respiro. E poi di nuovo sollevare la puntina, riporre con attenzione il disco nello scaffale, prenderne un altro, indovinare il giusto stato d'animo che la successione di canzoni avrebbe dovuto provocare. I due lati della C90 diventavano qualcosa di più di una cassetta. Diventavano la colonna sonora dei suoi pensieri, delle sue azioni, del film della sua vita. Anche nel tempo dei film muti i pianisti sottolineavano con la musica le azioni, e quelle cassette erano la preparazione, la droga che avrebbe suscitato dentro di lui le giuste emozioni.
Adesso anche loro erano andate, bruciate dalla tecnologia, dalla frenesia della vita ipercinetica ma piena a sua volta di momenti vuoti e inutili che conduceva.
Il nastro magnetico col tempo si deteriora. Perde informazioni, mentre il fruscio del rumore bianco si sovrappone sempre di più alla musica. Nella stessa maniera le parole che un tempo erano la vita stessa di Silvio, la narrazione continua e in tempo reale delle sue azioni e dei suoi pensieri, si era lentamente persa nel rumore bianco dello svegliarsi ogni mattina, rapida doccia, traffico, lavoro, telefonate, mal di testa, problemi, traffico ancora, casa, cena, televisione e letto.
Il rumore bianco della banalità aveva portato via quelle cassette confezionate con cura insieme alla narrazione, rendendola piatta ed insipida. I suoi momenti belli erano lì, pronti a tornare. Nella terra delle colonne sonore perdute, dove le musiche che aveva amato accompagnavano tutto quello di bello che aveva fatto.
Dove musiche ancora non ascoltate erano pronte ad accompagnare le nuove follie che avrebbero finalmente reso di nuovo interessante la narrazione.
Basta tornare ad avere il coraggio di ripassare il panno sul vinile per rimuovere il dannato rumore bianco che offusca tutto.

Dio santo, mi sa che sono andato troppo oltre. E forse sono stato troppo melenso.
Ma va bene così, almeno stasera, da solo in quest'ufficio mentre aspetto che arrivino le 10.

venerdì 30 maggio 2008

Omaha Beach

Ieri era un giorno come tanti altri, grigio e piovoso. Succede.
Ieri ero in un posto non come gli altri.
Sono in Francia, un po' in giro. Ieri ero in Normandia. Ieri ho visitato uno dei posti più intrisi di sangue che ci siano su questa terra. Colleville-sur-mér, un piccolo paesino sulla costa normanna. Meglio noto come Omaha Beach.
Quanti ricordano Salvate il Soldato Ryan? I venticinque minuti iniziali, una memorabile sequenza di morte e distruzione, di folle massacro che a molti ha fatto mancare il fiato. La prima volta che l'ho visto, in un cinema, un mio caro amico ci ha chiesto scusa, è uscito, non ce la faceva proprio. Era appena tornato dal Libano, aveva visto la guerra dal vivo. Quella scena, lo sbarco in Normandia, la spiaggia di Omaha, era stato troppo per lui.
Ieri sono andato a visitare quel posto, un po' per curiosità storica, non lo nego, e un po' per mostrare il mio rispetto a quei ragazzi che si fecero ammazzare laggiù, lontano da casa loro, solo per impedire che tutti noi (si, tutti noi) vivessimo in un'Europa dominata dal Nazifascismo.
Può sembrare idiota, dopo tutto vivo in una nazione che dedica le piazze a dei gerarchi fascisti come Almirante... Un po' come se la Germania dedicasse una piazza a Goebbels. Ma - chiamatemi stupido - io ci credo.
Ho trovato un'atmosfera folle, surreale. Le scolaresche francesi vengono portate laggiù, alla spiaggia di Omaha, a portare dei fiori alle tombe dei ragazzi americani che sono morti per dare loro la libertà. Intere classi di bambini zitti, composti, ognuno con un fiore in mano, ad ascoltare attentamente i loro maestri che gli raccontano come dei ragazzi di vent'anni o meno vennero su quella spiaggia a farsi ammazzare. Per un ottimo motivo.
File e file di croci bianche, tutte identiche, intervallate ogni tanto da una Stella di Davide su di un prato verde. Un gruppo di ragazzi di sedici o diciassette anni si aggiravano tra le croci. Una di loro diceva Merci George, Merci Robert, Merci Anthony... Li ringraziava uno per uno.
I ragazzi della stessa età, a Roma, in quello stesso momento, camminano per le strade, le celtiche tatuate sul braccio, inneggiando a Mussolini e ad Hitler.
Abbiamo sbagliato qualcosa, qualcosa di fondamentale. Mentre ero lì, in lacrime, mi chiedevo che cosa avessimo sbagliato. Qualcosa di fondamentale.
Quei ragazzi sono morti per noi. Ma noi li stiamo tradendo.

domenica 25 maggio 2008

Ancora sull'LHC...

Sta diventando noioso. Ormai anche Repubblica si è accorta che stanno per far partire gli esperimenti nell'LHC. E giù con la solita serie di notizie, ormai talmente standardizzate che c si potrebbe fare una statistica, bella ricca di grafici, di quelle che mandano in visibilio i dirigenti delle industrie quando non hanno da lavorare e vogliono far vedere che stanno facendo qualcosa.
E' quasi deprimente.
Stanno diminuendo, per fortuna, le previsioni catastrofiche da "fine del mondo" che avevano riempito le pagine di giornali e blog annunciando che nell'acceleratore ginevrino ci stavamo preparando a distruggere questa palla di fango creando buchi neri. Riassumendo queste teorie in due parole si diceva che le collisioni che avverranno nell'anello di accelerazione saranno talmente potenti da creare dei mini buchi neri in grado di risucchiare l'intera Terra. Come previsioni, come ho detto in un precedente post, sono abbastanza campate in aria:
  • Le energie prodotte nell'LHC non sono sufficienti, secondo tutte le teorie correnti, per creare dei buchi neri.
  • Se anche queste energie fossero sufficienti i buchi neri prodotti "evaporerebbero" in pochi istanti in un fascio di particelle ad alta energia a causa della Radiazione di Hawking.
  • Se le energie fossero sufficienti e se Hawking avesse sbagliato tutto, impedendo l'evaporazione dei mini buchi neri, questi avrebbero un'energia cinetica (velocità) talmente superiore alla velocità di fuga che verrebbero sparati via a distanze inimmaginabili dalla terra in pochissimi istanti, senza avere la possibilità di risucchiare alcunché.
Esistono ancora altri motivi per i quali è praticamente impossibile che l'acceleratore produca questo monstre destinato ad ingoiare la terra, ma bisognerebbe allontanarsi dalle spiegazioni "semplici" e cominciare a scrivere equazioni. Vorrei evitare.
E' interessante notare che l'utilizzo di un meme come quello dei buchi neri sia puramente - anche se forse involontariamente - fuorviante e strumentale: chiunque abbia lanciato la "notizia" avrebbe fatto molto meglio a parlare della possibile produzione di strangelets, uno stadio della materia ipotizzato e non ben compreso i cui costituenti, invece che combinazioni di quark up e down, conterrebbero quark strange. La produzione di un oggetto del genere - anch'esso destinato a papparsi la terra in un sol boccone - è lievemente meno improbabile di quella di un buco nero. Eppure la fisica che c'è dietro è così ingarbugliata e poco trattata dai telefilm di fantascienza che nessuno ha sollevato l'ipotesi. Divertente... Ma rassicuriamoci: è più probabile che tutto l'ossigeno della Terra si raccolga sulla punto dell'Everest che l'LHC riesca a produrre una strangelet. Ed è ancora più improbabile che venga prodotto un buco nero. E, se anche uno dei due eventi avvenisse, non ci sarebbe niente di strano: ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo, la Terra viene bombardata dai raggi cosmici, la cui energia è tale che la maggior parte delle collisioni ha un'energia molto maggiore di quanto prodotto nell'LHC. Negli ultimi quattro miliardi, seicento milioni e spiccioli di anni nessuna di queste collisioni ha prodotto un buco nero in grado di risucchiare la Terra, né una strangelet... E anche alla sfiga cosmica c'è un limite, quindi non perderò il sonno quando i magneti cominceranno a funzionare sotto Ginevra e l'LHC entrerà in funzione.
Ma gli articoli sull'acceleratore mi hanno fatto notare una cosa: tutti, nessuno escluso, da quelli sui giornali popolari fino agli articoli su riviste e blog scientifici trasudano un immenso senso di aspettativa. Tutti si aspettano che - una volta in funzione l'LHC - succeda qualcosa. Qualunque cosa.
Secondo la mia - modestissima - opinione quello che sta succedendo è che l'impasse che ha colpito la Fisica negli ultimi anni sta cominciando a trasudare dall'ambiente ristretto e spesso autoreferenziale dei fisici e a diffondersi nel grande pubblico. Tutti coloro che vanno oltre la vittoria della Roma in Coppa Italia nel definire il loro rapporto con l'universo stanno cominciando ad intuire che il grande giocattolo che dava tante soddisfazioni, la Fisica Estrema, la comprensione dell'universo fino all'ultima particella elementare, sta subendo una battuta d'arresto. Come una relazione che dopo anni si trascina stantia e noiosa tutti sperano in un grande scossone che riporti la passione, la scoperta, il divertimento.
Bé, una brutta notizia: non succederà.
Non perché le teorie siano omnicomprensive e funzionanti fino all'ultima virgola, cosa che non sono. Non perché l'LHC non sia in grado di indagare oltre le teorie correntemente vigenti, tutt'altro.
Quello che succederà è che l'LHC verrà acceso e, per il primo anno o forse più, nessun annunciò verrà fuori dal CERN. I primi mesi saranno costellati da problemi di vario tipo, tarature, aggiustamenti, forse anche modifiche alla struttura stessa dell'acceleratore e dei rilevatori. E' normale, questo è territorio inesplorato. E poi ci sarà da analizzare i dati. E da interpretarli. I dati apparentemente inspiegabili verranno analizzati, qualcuno estenderà e correggerà le teorie vigenti per comprendere questi dati. Passeranno mesi, forse anni prima che i risultati prendano la forma di articoli scientifici, e altri mesi prima che questi risultati vengano resi commestibili al grande pubblico. Qualcuno, magari la disonorevole Carlucci, tuonerà contro lo scandalo di questa spesa immane che non ci ha dato otto premi Nobel, il viaggio più veloce della luce e la comprensione del perché una fetta di pane cade sempre con il lato imburrato rivolto verso il suolo.
Tutti questi miliardi sono stati quindi spesi per niente?
Tutt'altro. Perché all'immensa mole di dati che l'LHC - e decine e decine di altri esperimenti sparsi per il mondo che stanno producendo dati in attesa di essere analizzati - manca ancora qualcosa per aprire nuove strade per andare là dove nessuno è mai stato prima: un'interpretazione, qualcosa di assolutamente nuovo, straordinario e lontano dagli schemi che metta in nuova luce i dati esistenti e prodotti e che li armonizzi in una visione del mondo fisico differente - ma non troppo, visto che dovrà includere la maggior parte delle interpretazioni già esistenti - e, senza dubbio, meravigliosa. E' già successo: occorsero anni prima che dalle implicazioni della teoria di Maxwell sulle onde elettromagnetiche alcune menti geniali - prime fra tutte Planck ed Einstein - cominciassero a trarre quelle soluzioni, quegli escamotage che condussero alla fisica moderna, alla Relatività Generale, alla Meccanica Quantistica e al meraviglioso zoo di particelle elementari che adesso sappiamo che ci circonda. Per quanto i dati dell'LHC possano essere affascinanti e rivoluzionari occorreranno certo degli anni prima che qualcuno riesca ad elaborare una teoria tale che li metta assieme e renda il quadro non solo più chiaro, ma finalmente di nuovo vitale e foriero di nuove interpretazioni. Questo potrà essere deludente per molti, segnatamente i giornalisti, ma è la realtà più probabile.
E adesso, come tutti, spero proprio di essere smentito non appena qualcuno sposterà un grosso interruttore su "acceso" da qualche parte sotto metri di roccia, a Ginevra.

sabato 24 maggio 2008

Un autoritratto in HDR

Oddio, no, non di nuovo, non un'altra dannata foto di me stesso!
E invece si, purtroppo...
Diciamola tutta. Questo pomeriggio, grazie anche ad alcuni discorsi fatti con Maura, m'è venuta voglia di fare qualche sperimentazione con l'HDR...
L'HDR, o High Dynamic Range, è un trucco permesso dalla moderna tecnologia per aumentare il cosiddetto range dinamico dei sensori delle macchine fotografiche. In due parole funziona in questa maniera: si fanno tre o cinque foto esattamente dello stesso soggetto, illuminato in maniera ineguale, e poi si mixano digitalmente. Normalmente il range di luminosità a cui è sensibile un sensore di una macchina fotografica è limitato, di molto inferiore a quello del nostro occhio. In questa maniera, prendendo informazioni da tutti i fotogrammi per evitare il clipping delle parti più illuminate e meno illuminate dello spettro, si riesce ad ottenere un'immagine con un ampiezza dei colori e delle luminosità pari, se non in alcuni casi superiore, a quella dell'occhio umano. Un effetto strano, non semplice da rappresentare a video (anche i monitor, sia LCD che CRT, non sono molto abili a riprodurre tutte le possibili sfumature di colore e di luminosità).
Per chi fosse più interessato e fosse ampiamente insoddisfatto della mia - pessima, a dire il vero - spiegazione c'è il solito articolo di Wikipedia pronto a dare una spiegazione esaustiva e a fare da bussola per le nostre ulteriori esplorazioni...
Oggi sono - tanto per cambiare - un po' a corto di soggetti da fotografare, quindi, vangogghianamente, mi sono accinto a usare me stesso come soggetto. Impietoso, al fine di riprendere più colori e luminosità possibile, ho usato un grandangolo, pur sapendo che le mie fattezze, già in partenza non del tutto apprezzabili, sarebbero venute caricaturalmente distorte. Incurante del pericolo ho piazzato la macchina sul cavalletto e mi sono accinto a scattare... Purtroppo il telecomando ha qualche problema con il bracketing e quindi ho dovuto utilizzare il cavo di comando, che tanto lungo non è (da qui il braccio teso a sostenere con noncuranza, ma accuratamente fuori inquadratura, il comando a filo). Mi sarei potuto piazzare un po' più lontano, migliorando la composizione, ma tant'è... Non si può avere tutto.
Ecco qui, dunque, per la gioia di grandi e piccini, il frutto di sì dura fatica:


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Now playing: The Beatles - Norwegian Wood
via FoxyTunes

lunedì 19 maggio 2008

Risiko & Kava

Lo so, è quasi un mese che non scrivo... Ma sono stato moderatamente impegnato (insomma, incasinato) e poco attento negli ultimi tempi... Un po' di real life che mi ha ricordato un po' di cose... Tra cui il mettere nel giusto conto le cose veramente importanti.
Detto questo, ho molte cose da dire e, giurin giuretta, le dirò. Ho da parlare del Risiko, non quello simpatico, tra amici, con un po' di birre e tanti carrarmatini che vanno dalla Jacuzia alla Cita, ma quello un po' più antipatico con i carrarmati di dimensioni reali e con la gente che muore. Molto più antipatico. E poi vorrei parlare della Kava... Sperando nel frattempo di trovarla e di poterne parlare di prima mano.
Qualcuno si aspettava un post pregno di significati e di idee? Niente da fare, per adesso è il mio solito keepalive, mentre metto in ordine le mie idee e mi preparo a scrivere su questi due argomenti...
A fra poco!

lunedì 21 aprile 2008

San Silvio

No, non è un commento sulle elezioni.
Mi chiamo Silvio, non ci posso far niente, è un nome che è in famiglia da qualche secolo, si chiamava così mio nonno... Che ci posso fare?
E' che oggi (21 aprile) si festeggia San Silvio (e compagni), martire ad Alessandria. Quindi, tra le altre cose, oggi è il mio onomastico.
Ora, di 'sto santo non si sa praticamente nulla. Io ogni tanto cerco, sperando di trovare qualche notizia, qualche cosa, non dico un'agiografia completa, ma almeno due spigolature di poco conto. Niente.
Quindi parto d'immaginazione: era un Alessandrino, quindi probabilmente cultura greca, etnìa egiziana (con buone probabilità di gocce di sangue ebreo). Profondamente integrato nella vita del cristianesimo alessandrino dove, per inveterata abitudine, si risolvevano le questioni religiose a spadate; una bella guerra di piazza per risolvere intricate e quasi incomprensibili questioni dottrinarie, facendosi saltare la mosca al naso se per caso qualcuno andava a dire qualcosa di sbagliato sulla consustanzialità o si faceva per caso il segno della croce con quattro dita invece che tre.
Me lo immagino come un giovane polemista, ferrato nei dibattiti, pronto a ricorrere a mezzi non ortodossi se per caso la disputa si alzava di tono, ben poco ecumenico e molto incazzoso se per caso si trattava di difendere le proprie idee, per niente ligio all'autorità e che, nel momento in cui l'autorità suddetta lo condannò a morte (probabilmente per il tradimento di qualche correligionario irritato dalla sua abilità nei dibattiti, tipica di un giovane mezzosangue in parte greco e in parte ebreo cresciuto leggendo Socrate e Platone), dopo un momento di tristezza infinita, passò alla totale rassegnazione, fece un respiro profondo e... "vabbé, facciamoci martirizzare. Speriamo che serva a qualcosa..."
Lo so, a volte ho troppa immaginazione. Comunque auguri Silvio: spero ti stia divertendo in quell'angolo di paradiso dove risiedi, lontano da tutti, abbastanza tranquillo e con giusto un paio di preghiere all'anno da parte di qualche rompicoglioni troppo zelante.

martedì 15 aprile 2008

Ma... E' successo qualcosa?

Non so. Giornali, televisioni, gente in giro, tutti parlano come se ieri fosse successo qualcosa.
Ieri non è successo niente.
Come insegna uno dei maestri, basta credere in qualcosa in maniera totale, sviluppando un campo di distorsione della realtà: un'area intorno a noi in cui la realtà è deliberatamente distorta e piegata alle nostre esigenze. Se ci impegnamo abbastanza e se siamo abbastanza carismatici e convincenti possiamo anche far sì che questo campo si espanda, portando altre persone a condividere questa nostra realtà e a calarsi nel nostro mondo personale.
Non importa quanto assurdi e folli siano i memi che proponiamo: se rispondono ad alcuni banali criteri di coerenza interna (la realtà personale nella quale crediamo deve essere autoconsistente, deve basarsi su di una serie di assunti da non dimostrare che portino a logiche e facilmente comprovabili conclusioni tutte coerenti, senza eccessive forzature) e se vengono sostenuti con forza tranquilla - la sicurezza in cui si crede in queste cose è fondamentale, non si devono avere dubbi - la realtà si distorcerà impercettibilmente intorno a noi, portando lentamente, per piccoli passi, a cambiare ogni percezione.
Se la personalità di chi proietta questo campo è sufficientemente forte i memi che da lui si irradiano potranno raggiungere distanze sempre maggiori, coinvolgendo sempre più persone.
Nel caso - estremo ma frequente - di memi particolarmente potenti e la cui base sia condivisa tra ampi gruppi di persone diventa estremamente facile - anzi, a volte così semplice che è letteralmente impossibile controllarne la diffusione - far sì che il nostro campo di distorsione personale si espanda, venga condiviso e cominci ad autosostenersi.
Quindi, visto che siamo tanti (ma non abbastanza), ripetiamolo tutti insieme: ieri non è successo niente.
Ieri non è successo niente.

sabato 12 aprile 2008

Odio le promesse elettorali...

Domani, si dice, dovremo andare alle urne. Sempre da quello che si dice ci toccherà scegliere il nuovo governo... In realtà, con la legge elettorale vigente in Italia, il famigerato porcellum (chiamato così, occorre ricordarlo, perché l'estensore - il leghista Calderoli - la definì "una vera e propria porcata"), c'è ben poco da scegliere, visto che i nomi degli eletti sono scelti dai partiti e perché gli italiani, tradizionalmente, non votano secondo convenienza, ma secondo un vero e proprio tifo da stadio per la propria parte politica. Alla fine non gliene frega niente a nessuno che il governo sia in grado di risolvere i problemi del paese o - male minore - che riesca a governicchiare, a fare qualcosa, o anche semplicemente a far andare gli affari correnti.
Tutt'altro: agli italiani interessa solo che la parte che si tifa vinca le elezioni, così da poter sfottere gli amici che vincono dall'altra parte il giorno dopo, una volta letti i risultati... Sulla Gazzetta delo Sport, ovviamente.
Lo so, è deprimente, ma sono nato in Italia e non ci posso fare niente. In fondo mi sarebbe potuta andare peggo, sarei potuto nascere in Birmania o nel Ciad, ma sarei potuto anche nascere in Finlandia dove, a parte le notti lunghissime e il freddo, ho la vaga sensazione che si stia abbastanza meglio.
A questo si aggiunge la tendenza inarrestabile, da parte dei due principali candidati premier, a fare promesse mirabolanti senza preoccuparsi della fattibilità delle stesse. La cosa potrebbe anche lasciarmi indifferente; al massimo potrei cavarmela con un sorrisetto di compiacenza. Senonché i due principali contendenti - inserire qui maledizioni a piacere - hanno il dannato vizio di infilarsi nel mio lavoro: io lavoro per Aci Informatica, e noi ci occupiamo principalmente di bollo auto e Pra. Berlusconi vuole abolire il bollo, Veltroni il Pra. Comunque vada sarò disoccupato.
Quest'anno sto andando a votare con estrema fatica. C'è ben poco che possa fare per cambiare le cose, e qualunque cambiamento in vista pare essere negativo. Non solo per 'aspetto personale: anche le prospettive per tutti gli italiani, in genere, sono ben poco positive...
Teniamo duro e stringiamo i denti.
Ma nella peggiore delle ipotesi mando i curriculum all'estero: male che vada farò il rifugiato in qualche paese civile...


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Now playing: Nick Cave & The Bad Seeds - Deanna
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venerdì 4 aprile 2008

Niente fine del mondo (per adesso)

Bé, a quanto pare nemmeno l'LHC riuscirà a far sparire questa palla di fango. In quest'articolo (in english, please) viene spiegato in dettaglio, e in termini abbastanza semplici, perché anche se ci mettiamo d'impegno, proviamo di tutto e sbagliamo qualunque calcolo sulla faccia della Terra non riusciremo a creare un mini buco nero in grado di risucchiare tranquillamente tutto il pianeta.
Con buona pace di chi predice catastrofi ad ogni pié sospinto.
E' affascinante come in ogni caso ci siano persone che, con una comprensione molto limitata di ciò che accade, siano pronte a pontificare e dare giudizi... Com'è vero che chi non comprende ha il terrore proprio di ciò che non comprende. Triste, ma vero.

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Now playing: Sacre - Mad World (From "Donnie Darko")
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martedì 1 aprile 2008

E se Watchmen fosse stato disegnato da Charles M. Schultz?


Di solito evito di riferirmi a post di altre persone, ma grazie a Wil Wheaton e al suo splendido blog ho scoperto un disegno assolutamente fantastico: cosa sarebbe successo se Watchmen fosse stato disegnato da Charles M. Schultz?
Il risultato si può ammirare qui. Non conosco l'autore, ma spero che mi perdonerà se riposto il suo meraviglioso disegno... E' assolutamente fantastico.

Snoopy come Rorschach è assolutamente terrificante ed esilarante allo stesso tempo.

domenica 30 marzo 2008

In un giorno di sole...

... Mi rendo conto che sono dieci giorni che non scrivo.
Ho delle cose da dire, ma sinceramente non ho voglia di scriverle. Nonostante qualcuno al piano di sopra abbia finalmente spazzato le nuvole (si, ci siamo ancora. Mi dispiace...) il mood pessimo non accenna ad andare via.
C'entra la stanchezza, estrema. C'entra lo schifo ogni volta che mi guardo intorno. C'entra la mia insoddisfazione, anche verso me stesso. Parlerò, in seguito, dela stanchezza. L'ho analizzata e razionalizzata e - forse - capita. Parlerò di altre cose.
Ma oggi sono sull'orlo della depressione, quindi, dopo aver messo questo segnaposto (per dire anch'io che ci sono ancora...), smetto di scrivere. Almeno per oggi.

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Now playing: Bruce Springsteen With The Sessions Band - Highway Patrolman
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giovedì 20 marzo 2008

Piani per il trasloco?

Si dice che il trasloco sia la cosa più stressante che possa capitare a qualcuno. Infliggerselo significa solo buttarsi nella più folle delle imprese, piena di contrattempi e di situazioni stressanti.
Perché si trasloca? La risposta è - ovviamente - banale: per migliorare la propria situazione. O meglio, per la speranza di migliorare la propria situazione. Non sempre, a dire il vero, si riesce nell'impresa... Però a volte basta la speranza: rivalutiamo le false illusioni, signori e signore, sono fantastiche, e a volte ci danno la possibilità di passare un periodo ignobile con qualcosa che ci spinga in avanti quando tutto, ma proprio tutto, ci spinge inesorabilmente all'indietro.
Comunque devo dire che sono arrivato veramente alla frutta, e quindi sto seriamente pensando di far partire un trasloco, lanciandomi volontariamente in quest'impresa disperata.
No, non si tratta della mia casetta in affitto che pago troppo. Tutt'altro. Si tratta di quello che state leggendo: ho una mezza idea (no, un po' più di una mezza idea) di passare a piattaforma Wordpress - immensamente più potente di Blogger, per dirne una gestisce il MathMl - e di prendere un mio dominio, in maniera tale da avere la possibilità di fare tutto quello che ho in mente.
Questo non significa, ovviamente, che lo farò, vista la mia lunga tradizione di imprese pianificate, iniziate e lasciate a metà... Però almeno rafforzerò la mia speranza di farlo.
Sono già a buon punto e vedo che la cosa è fattibile, anche in poco tempo, quindi aspettatevi possibili grandi rinnovamenti in poco tempo...

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Now playing: Joe Cocker - Come Together
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venerdì 14 marzo 2008

A contatto con il genio

Strana, ma ricchisima di avvenimenti piacevoli, giornata. C'erano un sacco di coincidenze interessanti...
Il 14 marzo è il compleanno di Zio Albert (auguri, sono solo 129 anni!). Di più: se leggiamo le date secondo il sistema anglosassone è il giorno del Pi - inteso come pi greco - 3,14.
Ma qui a Roma è stato il momento in cui, strano a dirsi, c'era qualcosa di interessante da vedere: per il secondo anno consecutivo all'Auditorium è in corso il Festival della Matematica, una serie di eventi e, fortunatamente, di conferenze rivolte al grande pubblico tenute da importanti e rinomati matematici e fisici. Il 14 è - ovviamente - il giorno dei fisici, e stavolta si sono organizzate le cose in grande: ben due premi Nobel presenti a raccontare un po' di cose a noi poveri mortali.
La cosa sarebbe stata fantastica, se non fosse che la città di Roma fa di tutto per rendere le cose difficili: per non mancare troppo al lavoro e sapendo che avrei dovuto sciropparmi delle file immense per poter entrare - la manifestazione è gratuita, e per questo decine di scolaresche sono "gentilmente invitate" a partecipare. Questo fa sì che il numero degli astanti sia notevole, ma anche che i due terzi degli intervenuti siano forzati ad essere presenti e superflui, e che le code siano una conseguenza inevitabile - ho dovuto scegliere quale conferenza seguire. Me ne è concessa solo una ogni anno. Nel giorno dei Fisici sono stati invitati a parlare Sheldon L. Glashow e Frank Wilczek, due pezzi da 90. Shelly Glashow, oltre ad aver vinto il premio Nobel insieme a Steven Weinberg e Abdus Salam per la teoria sulle interazioni Elettrodeboli, è stata anche la persona che ha ipotizzato il quark Charm, l'autore di eccezionali ricerche sulle teorie di Grande Unificazione, uno dei responsabili della Very Special Relativity, e cioé uno dei più eccitanti sviluppi degli ultimi anni relativi alla teoria della relatività... Wilczek invece è stato uno dei responsabili della scoperta della libertà asintotica, uno dei meccanismi più importanti in assoluto relativamente alla cromodinamica quantistica.
La scelta è dura... Ma alla fine tre considerazioni mi hanno fatto propendere per la conferenza di Glashow:
Era la prima. La conferenza di Wilczek cominciava alle 18:00, e questo avrebbe significato tornare a casa verso le 21:00. Dovevo fare anche la spesa. Avevo un disperato bisogno di dormire e di riposarmi, il mal di testa mi tormentava.
Sono molto più interessato alle ricerche di Glashow che a quelle di Wilczek, anche perché mentre Shelly Glashow è un puro fisico teorico l'altro è più che altro un matematico "prestato" alla fisica teorica.
Last but not least Shelly Glashhow e Luciano Maiani (presidente del CNR, fisico teorico e co-scopritore della Charm) sono stati coinvolti negli ultimi giorni in una polemica - francamente ridicola - con un altro dei più grandi geni della fisica teorica italiana... Gabriella Carlucci. No, non scherzo. Per niente, purtroppo. La ballerina dipendente di Berlusconi si è permessa - imbeccata da Enzo Boschi e Zichichi, che non linko perché non lo meritano, se volete trovateli da voi - di criticare e questionare le ricerche di Maiani, chiamando in causa proprio Glashow che, da persona corretta e cortese, le ha replicato spiegandole con gentilezza i fatti della vita e come funziona la ricerca scientifica. A quel punto la decenza avrebbe dovuto suggerire alla Carlucci di rimanere in silenzio, ma lei ha insistito, continuando a massacrare le parti intime di mezza comunità dei fisici teorici con le sue sgrammaticate e ignoranti ilazioni. Un ulteriore esempio, se necessario, della pochezza e della mancanza di qualunque neurone funzionante nei dipendenti di Berlusconi. A quel punto la scelta è diventata obbligata: non solo le mie esigenze personali e le mie preferenze scientifiche, ma anche la decenza mi imponevano di andare a seguire la conferenza di Glashow.
Mi è toccato uscire un'ora prima dal lavoro per poter essere in tempo, affrontare un'ora e mezza di traffico e mezz'ora di fila ma stavolta sono riuscito a essere in tempo per la conferenza, sia pur piazzato in piccionaia. Non solo: sono riuscito a portar dentro una macchina fotografica e a scattare varie fotografie, comprensive delle meravigliose slide scritte a mano da parte di Glashow:

La conferenza è stata semplicemente meravigliosa. Il fisico americano ha parlato dei suoi interessi maggiori, il biliardo e la fisica teorica, spiegando in maniera semplice e affascinante come siano strettamente relati all'utilizzo dell'algebra delle matrici; per essere più precisi ha sottolineato come la sua preferenza vada alle piccole matrici - arriva a quelle 6X6, già una matrice 10x10 è troppo grossa per lui - facilmente interpretabili e comprensibili.
Nel frattempo ha infarcito l'intero discorso di una modestia ammirevole: ha ribadito in continuazione gli errori compiuti e le occasioni mancate... In una non troppo velata polemica con quanto affermato dalla soubrette... Ma diavolo, devo proprio parlarne? Ok, ha sbugiardato e smerdato la strappona. Non è importante.
La fisica descritta, a parte la sezione iniziale sui biliardi assolutamente affascinante, è stata più che altro una esposizione poco approfondita e a volo d'uccello sui suoi innumerevoli lavori, praticamente un buon quarto di quanto ha portato al Modello Standard. Non fantastico - dopo tutto era una conferenza destinata ai non addetti ai lavori - ma veramente degno di essere ascoltato.
Finita la conferenza sono rimasto per qualche minuto in giro; ho intravisto John Nash, che come l'anno scorso era in giro, pronto per la sua conferenza. E poi, seduto ad un tavolino, ho visto che c'era Shelly Glashow, sorridente. Coraggio a due mani e respiro profondo: sono andato da lui e gli ho chiesto se potevo fargli una foto. Con un sorriso disarmante ha accettato senza problemi:
Sempre sorridendo mi ha chiesto cosa fosse il libro che avevo in mano. Era un libro del pubblicista inglese Jonny Geller, un libro umoristico sulle cose che "vanno bene" o "non vanno bene" per gli ebrei, con una Menorah disegnata sulla copertina, che evidentemente lo aveva incuriosito (Glashow è un ebreo newyorkese). Ha dato uno sguardo al libro, ha chiesto se fosse una traduzione dall'inglese - ovviamente lo era - e ha detto che lo vuole leggere e che lo comprerà...
Diciamola tutta, ero emozionatissimo e assolutamente conquistato dalla sua gentilezza e dalla sua genuina e quasi infantile curiosità. Lui è una di quelle persone che mi fanno avere ancora un po' di speranza nella razza umana.
Alla fine l'ho ringraziato, gli ho detto che la sua conferenza era stata absolutely inspiring e mi sono defilato, pronto per un'altra ora di terrificante traffico romano, stanchissimo, con un mal di testa degno di un'esplosione termonucleare nelle mie meningi ma, per una volta, con la consapevolezza di aver passato - per una volta - un pomeriggio degno di essere vissuto e ricordato.
Grazie di nuovo, Shelly Glashow, sei un grande.


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Strade ed elezioni

Ci sono le elezioni. Come si fa ad accorgersene qui nella ridente cittadina di Roma? Non con i comizi (fuori moda, i politici rischiano un po', e poi in una grande città come questa si fanno i comizi solo per radunare folle oceaniche, vere o false che siano). Non con i manifesti elettorali, che mai come quest'anno sono scarsi e poco ispirati.
No, a Roma ci si accorge che sono imminenti le elezioni perché rifanno le strade.
Ogni volta che c'è qualche consultazione - nazionale o amministrativa che sia - la puzza dell'asfalto caldo riempie la città, il traffico impazzisce per i numerosi lavori in corso nelle strade più disastrate che vengono diligentemente - vabbé, è una licenza poetica - ricoperte con un nuovo strato di asfalto fumante; il piccolo particolare che, al primo passaggio di camion, tutti rigorosamente sovraccarichi, il nastro di asfalto fresco e morbido verrà ridotto ad una groviera di voragini dai bordi affilati è assolutamente ininfluente.
Sono lavori che servono a ben poco, ovviamente. Anche dal punto di vista elettorale: ormai i romani, scafati da duemila anni di elezioni, sono totalmente insensibili a queste lusinghe.
E' però divertente notare che succede ogni volta: persone che vivono in questa ridente cittadina baciata dal sole mi confermano che da tempo immemore gli autocarri carichi d'asfalto che ricoprono le buche sono una costante di ogni periodo elettorale.
Solo una piccola nota, tanto per continuare a ricordare che l'emigrazione è l'unica ancora di salvezza... A meno di una soluzione termonucleare.

martedì 4 marzo 2008

Catch the movie, NOW!!!

In questo periodo, ricordando i mesi appena passati, c'è un piccolo evento che - a posteriori - ha guadagnato un posto di rilievo nei miei ricordi. E' stata la visione di Cloverfield, il film rivelazione di J.J. Abrams.
Il film, come ho già scritto in altro post, è veramente notevole, ma non è stanto il film in sé stesso che mi ha lasciato un ricordo così forte. No, tutt'altro: è stato andare di corsa al cinema, come se stessimo correndo a casa per non perdere un film alla televisione. Perché adesso, purtroppo, i film rimangono in sala veramente pochissimo. Soprattutto se sono belli e, di conseguenza, un minimo sofisticati e lontani dai gusti macinati delle masse.
Non so se questi gusti esistano veramente o se siano semplicemente la creazione delle menti perverse e malate di pochi distributori con poca immaginazione, anche se a dire il vero - almeno sentendo molti dei discorsi che si possono intuire in giro - forse sono proprio loro che hanno ragione. Fatto sta, e a dire il vero è proprio questo che mi fa incazzare in maniera oltremodo spiacevole, che una persona dai gusti un pochino sofisticati e particolari come il vostro affezionatissimo si ritrova ad inseguire pellicole che stazionano al più per un paio di miseri giorni in sala.
Con il risultato, dannazione, che pigro come sono mi perdo praticamente tutti quei pochi film che vorrei veramente vedere. Mi sono perso Stardust, lo deideravo ardentemente... Michelle Pfeiffer incontra Neil Gaiman, praticamente il paradiso. Niente da fare, perso. Tenterò di rifarmi con il DVD, ma non è la stessa cosa. La stessa cosa mi è capitata con Across The Universe, il musical basato sulle opere dei Beatles. Dico, non sono riuscito nemmeno a vedere quand'era programmato, non un manifesto, niente! E che diavolo!
Stasera ho scaricato da iTunes la colonna sonora ed è semplicemente MERAVIGLIOSA. E non è che sono incazzato per non aver visto il film, sono veramente imbufalito.
E spero proprio che non ne facciano una stupida versione italiana, magari con Lorella Cuccarini o qualche altra campanellina del genere, perché mi sentirei costretto ad andare a vederlo...
Il punto è... Brutti bastardi, il cinema è meraviglioso. Si può, si deve poter scegliere con calma una sera della settimana, un orario per andare a vedere un film. Ci si deve mettere d'accordo con gli amici. Devi trovare il coraggio per chiedere a quella ragazza che ti piace "dai, perché non vieni a vedere questo film, ho sentito che è proprio bello, domani sera sei libera?". Devi scegliere un posto tranquillo dove mangiare qualcosa dopo commentando il film. A che serve tutta qusta fretta? Perché i film devono stare in sala due giorni, senza nessun preavviso e ben poca pubblicità? Perché anche un piccolo piacere come andare al cinema deve essere trasformato senza pietà in una corsa? Dormo di corsa, vado al lavoro di corsa, mangio di corsa, rispondo al telefono volando ma, che cavolo, almeno un film voglio godermelo con calma!
Ma lo so, non c'è niente da fare. Sono io quello strano, il mercato mi dà torto... Ma non me ne frega niente, stavolta lo voglio dire con forza. E' una porcata. Ridatemi il cinema, vi prego, vi scongiuro, non potete distruggermi anche questo.
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Now playing: Carol Woods & Timothy T. Mitchum - Let It Be (Long Version)
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lunedì 3 marzo 2008

Fare qualcosa di utile...

... Non è cosa da tutti i giorni. Soprattutto con i computer. Certo, ci sono un milione di cose divertenti da fare: giocare a World of Warcraft, andare in giro in cerca di video porno, scrivere stronzate sui forum per far incazzare qualcuno (si, anche scrivere cavolate sui blog che nessuno leggerà), chattare, fare cybersesso, aggiornare le pagine di MySpace con migliai di foto assolutamente inutili...
Diavolo, quanta informazione stiamo mettendo in giro. Se sparissimo nel giro di dieci secondi sarebbe meraviglioso essere un archeologo che piomba qui e cerca di comprendere la civiltà di queste scimmie nude ossessionate dalle doppie penetrazioni e dai gatti sgrammaticati...
Ma, a volte, è anche possibile fare qualcosa di utile qui in Internet. Tanto tempo fa, quando la potenza di computazione si pagava molto, molto cara, c'era un progetto che si chiamava Seti@home. L'idea era semplice: mettere a disposizione i tempi morti del proprio computer per effettuare dei calcoli estremamente complessi, che richiedevano un'immensa potenza computazionale. Nello specifico i calcoli del progetto S.E.T.I. (Search for Extra Terrestrial Intelligence), che si occupa di analizzare i dati raccolti da vari radiotelescopi nel mondo (primo fra tutti quello di Arecibo) per eliminare il rumore di fondo naturale e isolare possibili candidati di emissioni radio prodotte da società intelligenti (come la nostra. Sempre che la nostra sia una società intelligente). E' un compito immenso, improbo, difficile da attuare, che richiede quantità immense di calcoli. Proprio il compito adatto a migliaia di computer sparsi nel mondo senza ninte da fare, se non far girare salvaschermi ultrasofisticati. Fu scritto un software che si occupava di suddividere l'improbo compito tra n computer. Dopo qualche falsa partenza il sistema si avviò e, contro ogni aspettativa, funzionò alla grande: chi ha bisogno di un supercomputer quando si ha tutta Internet a dsposizione? I calcoli venivano (e vengono) macinati con una progressione impressionante, e il progetto è stato in grado di isolare svariati possibili candidati, anche se fino ad adesso nessuno si è rivelato con certezza come un'emissione prodotta da una civiltà intelligente.
Non solo. Il modello del calcolo dstribuito su base volontaria, che si è dimostrato così di successo, è stato esteso a svariat altri progetti, relativi alla cosmologia, alla fisica delle particelle, alle ricerche sul cancro e sul genoma umano. E funziona. Migliaia di computer in tutto il mondo passano il loro tempo libero a fare calcoli di importanza fondamentale per il genere umano... Ma sono sempre troppo pochi. Più se ne aggiungeranno, meglio sarà. Fortunatamente gli informatici di Berkeley, che hanno inventato il "giochetto", hanno creato un'infrastruttura comune che è i grado di gestire progetti multipli sullo stesso computer: il sistema BOINC: un software, disponibile su praticamente ogni piattaforma dell'universo conosciuto, che permette di gestire contemporaneamente le diverse decine di progetti di calcolo distribuito esistenti nel cyberspazio. Basta scaricare il software, decidere quale (o quali) progetti supportare e poi il programma farà da sé, rimanendo in background e sfruttando i tempi morti del sistema per fare i suoi conti. Una maniera di essere utili per chi ha il vizio di lasciare il proprio computer accesso per ore senza che faccia niente di fondamentale. Se poi serve fare qualcosa di particolarmente intensivo (come ad esempio un gioco...) basta fermare il software e l'intera, immensa potenza elaborativa che ci portiamo dietro verrà utilizzata per lo scopo scelto.
Un ottima maniera, praticamente a costo zero, per essere veramente utili e far avanzare la conoscenza... Lo consiglio a tutti. Io, quando mi sento particolarmente depresso ed inutile, dò uno sguardo alle statistiche del BOINC e almeno mi pare di aver fatto qualcosa. Sarà un'illusione, ma è meglio che niente.
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Now playing: Bonerama - Yer Blues
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domenica 2 marzo 2008

Considerazioni sparse su di un mese appena concluso ed uno in arrivo.

Toh, è finito Febbraio. Un Febbraio lungo, certo, è l'anno delle Olimpiadi, del giorno in più, dell'anno bisesto - e quindi funesto - che si espleta proprio nel 29 di Febbraio, giorno soprannumerario, suprema sfiga per chi ci è nato, che potrà festeggiare un "vero" compleanno solo ogni quattro anni.
Le elezioni primarie americane si avvicinano alla loro conclusione se non reale, effettiva. Se martedì Barack Obama sconfiggerà Hilary Clinton in Texas ed Ohio si saprà che la grande sfida elettorale di Novembre, che ci consegnerà il nuovo Presidente degli Stati Uniti, sarà tra il giovane senatore nero dell'Illinois e l'ospite quinquennale dell'Hanoi Hilton, il discendente di una famiglia al servizio del suo paese nella Navy dai tempi di Washington e della Marina Continentale, John McCain III°. Una sfida di certo interessante, sono ambedue, a modo loro, rivoluzionari. Una cosa è certa: chiunque vinca il governo degli Stati Uniti nei prossimi quattro anni sarà quantomeno interessante.
Si avvicinano, ahinoi, anche le elezioni italiane, previste per Aprile. Interessanti a modo loro, perché teatro di un interessante gedankeesperiment: riuscirò la porcata di Calderoli - per unanime consenso la più brutta legge elettorale della storia dell'universo intero - a compiere il miracolo di strocare fuori dal parlamento i partitini ignobili e formati da gente ignobile che con i loro capricci riescono a condizionare il comportamento dei partiti maggiori (composti anch'essi da gente ignobile per la maggior parte, ma questa è un'altra storia. E comunque si parla di partiti che sono per la maggioranza composti da vermi, quegli altri sono così piccoli che non ce l'hanno nemmeno, la maggioranza)? E quale sarà la sorte dei medi, come ad esempio Casini con i suoi centristi e Bertinotti con la Sinistra Arcobaleno? Mistero. Non mi piace fare il Nostradamus della situazione, ma, secondo la mia umile e modesta opinione, uno dei due riuscirà alla fine a fare da ago della bilanca nella formazione del nuovo governo. Godendo come un riccio, tra l'altro.
Ma si sa, le opinioni sono come i buchi del culo. Ognuno ne ha uno ma sono tutti pieni di...
E comunque addio, non rimpianto Febbraio. Benvenuto Marzo, speriamo che tu ti possa rivelare almeno più interessante del tuo predecessore. Dopo tutto dovrebbero accendere l'LHC, quindi forse la fine del mondo è vicina... ;)
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Now playing: Buffalo Tom - Directive
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venerdì 29 febbraio 2008

Una noiosissima foto...


...di un gatto nero, appropriatissima per il giorno più funesto dell'anno bisesto e, quindi, dì per se già anno funesto. Non parlo più, e per una volta lascio che sia la foto a parlare...



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Now playing: Ry Cooder - Cat and Mouse
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lunedì 25 febbraio 2008

Strani attrattori

Ormai dovrebbe esser ben chiaro ai miei cinque lettori di manzoniana memoria che c'è qualcosa che non va. Sono depresso, stanco, sempre deconcentrato, ansioso. Non so nemmeno perché. Lavoro male, poco, non sono soddisfatto di quello che faccio. Non riesco ad interessarmi facilmente a niente, sto lentamente disseccando i miei molteplici interessi, limitandomi ad un "continuare" senza molto senso.
Da buon vigliacco tento di immaginare una via d'uscita, non un sidestep, almeno spero, ma una maniera per "disincastrarmi" da questa situazione noiosa e preoccupante.
Il mio cervellino malato ha partorito un'idea perversa, che forse potrebbe essere una soluzione: prendo un aereo, vado in Montana e rimango lì per tre settimane, in giro per le Badlands, a "cercare me stesso"... A due passi da Yellowstone. Magari invece di me stesso trovo l'orso Yoghi.
Chi lo sa, con Theodore Roosvelt ha funzionato (ma lui ci è rimasto per ben più di tre settimane). Magari funziona anche con me. Magari riesco addirittura a scrivere qualcosa di decente, che meriti la pubblicazione...
Non so che dire, si può anche considerare questo post come una RFC (=Request For Comment), quindi se qualcuno ha qualche idea...
Le mie si sono disseccate.

sabato 23 febbraio 2008

Caro papà: la paura.

Caro papà, ti scrivo ancora. Spero che non ti scocci la cosa: dopo così tanto tempo in silenzio, due lettere in pochi giorni. So che lassù dove stai (o laggiù, o in mezzo, o non importa...) non ve ne frega più di tanto delle vicende terrene, checché ne dica Dante o le nostre speranze... Quindi tutto queste informazioni sul mondo dei vivi potrebbero diventare noiose, inutili, persino dannose. Spero che non succeda (ma non mi spingo a tanto di chiederti di farmelo sapere, sarebbe pretendere troppo!).
Quanto ti ricordi del mio carattere? Spero molto e credo proprio che sia così, che non sia una pia speranza. Sono sempre stato un po' timoroso, ricordi? Volendo descrivere la cosa in termini freddi è analitici, sono stato sempre molto analitico, attento ad ogni aspetto delle cose che andavo ad affrontare, curioso dei dettagli, in piena elaborazione di tutte le possibili alternative, sopravvalutando attentamente ed appositamente quelle negative, ricavando con cura una stima delle probabilità positive e negative in maniera tale da prendere successivamente la giusta decisione.
Insomma, diciamola tutta, sono sempre stato un po' cacasotto.
Non è che tu sia stato del tutto estraneo a questo atteggiamento. Anzi, a pensarci bene, forse nei sei stato il maggiore responsabile. A fin di bene, ovvio, ma alla fine le intenzioni non sono sempre correttamente tramutate in fatti, e così è andata a finire che il risultato finale sia stato abbastanza differente da quello che tu speravi e stimavi.
Il tuo atteggiamento nei miei confronti è sempre stato redarguire pesantemente ogni mio errore. No, va bene, diciamoci la verità e usiamo le giuste parole. Altro che redarguire pesantemente, ti incazzavi come una bestia, sbraitandomi contro fino a diventare rauco. Non hai mai alzato le mani, e di questo ti sono grato, anche perché con quelle pale che ti ritrovavi mi avresti facilmente ridotto ad un mucchietto d'ossa spezzate e sanguinolente se avessi voluto; ti sei sempre limitato a vomitarmi addosso tutta la rabbia, la frustrazione, il senso di impotenza che i miei fallimenti - sia che fossero infinitesimali che apocalittici,beninteso - ti procuravano.
Ecco, credo che proprio questo sia il punto fondamentale. Rabbia, la tua rabbia. Frustrazione, la tua frustrazione. Il tuo senso di impotenza. Niente a che vedere con i miei sentimenti. Ero distrutto da quel deluderti, massacrato, e lo sono tuttora che le tue urla hanno preso dimora stabile e, ahimé, da me non voluta nel mio superIo. Tu non te ne rendevi conto, almeno credo, limitandoti a macerarti nel problema, sempre che ci fosse un problema, dalla tua parte esclusiva, dal tuo punto di vista. Rabbia perché tutte le speranze che mettevi in quel ragazzino venivano deluse. Senza nemmeno pensare che macigno finivi per buttare proprio sulle mie spalle, che sanno sopportare molto, ma non sono certo degne di un Atlante. La responsabilità di essere lo specchio delle tue speranze, la consapevolezza che in me erano proiettati tutti i tuoi desideri, i tuoi sogni mi opprimeva e tuttora mi schiaccia, anche se in parte mi sono liberato degli aspetti più oppressivi della cosa. La frustrazione che hai sempre avuto per aver dato vita a quel figlio così diverso da te eppure così simile, che con poco sforzo sarebbe potuto diventare tutto quello che tu non sei potuto, non hai voluto o non sei stato in grado di diventare è diventata la mia frustrazione, quella che mi impone di considerare così spesso fallite le mie imprese quando sono ancora tutte nella mia mente, prima ancora di azzardarmi ad intraprenderle. So che fallirò, nonostante tutto, così come ho fallito nel diventare lo specchio delle tue speranze. E' un tuo lascito, non gradito né voluto, ma c'è e me lo devo tenere, così come si fa con un mobile orribile, vecchio e inutile ma che però è un'eredità dei tuoi genitori. Stai lì, lo guardi, occupa spazio ed è un orrore per gli occhi, però te lo devi tenere.
Il senso di impotenza che provavi per non aver potuto forgiare tuo figlio ad immagine e somiglianza dei tuoi desideri, la perplessità che ti circondava, incapace di capire come mai quei metodi semplici che conoscevi e di cui ti fidavi fallivano miseramente ad educarmi come avresti voluto, mi ha avvolto senza pietà. Non solo sbaglio in continuazione, sembra dirmi quella vocina nella mia testa, ma non c'è assolutamente niente che possa fare per rimediare al problema o che mi liberi da questi fantasmi. Niente. Qualunque tentativo, qualunque idea avrò per correggere l'errore fallirà senza possibilità di errore, sia che si tratti di una curva affrontata sulla moto che di convincere i miei capi al lavoro di qualche mia idea. E' peggio della terza legge della termodinamica, non è l'entropia che aumenta con costanza ed ineluttabilità, è la quantità dei miei fallimenti. E, da qualche parte nel mio cervello, sono convinto che si tratti di una legge di natura, così come la legge di gravità, un limite insormontabile ed impassabile come la velocità della luce.
La mia vita è una lotta continua contro queste influenze, contro queste idee, contro queste voci nel cervello che non sono altro che la personificazione delle tue paure nei miei confronti, in quel tuo vedermi così diverso da ciò che avresti voluto avere. Avevi paura di quello che ero diventato perché non mi comprendevi. Viaggiavo ad altre quote rispetto alle tue, su di una rotta completamente diversa.
Sai, l'unica cosa di cui sono profondamente, sinceramente dispiaciuto è proprio quest'averti causato questo timore. Non ci posso fare niente se sono uscito così, papà, in fondo è anche frutto della tua opera. Le tue paure, certo, ma anche la tua ostinazione e tenacia, il tuo altissimo senso di giustizia, il tuo profondo, anche se non riconosciuto né apprezzato, altruismo.
E poi, anche se lotto ancora in continuazione contro quella frustrazione ingiustificata e quel senso di impotenza assolutamente irreale e falso, sono riuscito a compiere delle cose che, per me, sono grandi. E che sono sicuro che anche tu apprezzeresti. Ho ottenuto un buon lavoro solo con le mie forze e le mie capacità, dove sono anche abbastanza stimato sia come persona che come professionista. Ho attraversato l'America in macchina da Washington a San Francisco, ho visto le Sequoie con i miei occhi, così come il deserto e la Monument Valley. Ho imparato a volare. So tutto, o quasi, su come vengono gestite queste macchine che tu hai visto a malapena nella loro infanzia, e che adesso sono diventate indispensabili per la gestione di quasi ogni attività sul pianeta. Sono stato felice, anche se solo per brevi periodi. E, nonostante tutto, credo che lo sarò ancora. E per periodi ben più lunghi, perché lo voglio disperatamente, costi quel che costi, mi basta combattere e vincere, ancora una volta, ancora più duramente, quei fantasmi che hai lasciato nella mia testa.
Nonostante tutto questo ti ringrazio lo stesso e ti rinnovo la mia stima, perché almeno ci hai provato, il mio rispetto, perché magari eravamo e siamo diversi, ma adesso che comincio a comprenderti e non a vederti solo come un nemico o come una figura mitica ed inarrivabile, posso capire e rispettare - anche se non approvare - i tuoi punti di vista. Il mio amore, perché l'amore verso una persona può esistere nonostante i difetti. Anzi, credo che l'amore vero, anche quello filiale, consista proprio nel conoscere e soffrire dei difetti altrui. Ma nonostante questo amare lo stesso.