mercoledì 25 giugno 2008

Come scrivere un libro di successo

Voglio fare i soldi. No, non voglio diventare così ricco da non dovermi più preoccupare dei soldi da spendere per comprare una villa alle Cayman, ma voglio fare i soldi, quelli che mi permettano di vivere una vita tranquilla, poter scegliere il posto dove vivere e non dovermi preoccupare ogni volta che vado a fare la spesa.
Non chiedo molto, mi basterebbero un'ottantina di migliaia di euretti all'anno.

E, se non ci si vuole ammazzare di lavoro, la maniera migliore per ottenere questo è scrivere (la migliore è più onesta maniera per far soldi, a parte lavorare).

Il problema, quello vero, è che non basta scrivere: gli italiani - me compreso - sono tutti scrittori. Sfortunatamente siamo un po' scarsi di lettori, ma questa è un'altra storia... Bisogna scrivere un libro di successo, vendere un bel po' di copie, riuscire ad ottenere buoni introiti. Considerando che le due cose più lette in lingua italiana sono "Tre metri sopra il cielo" e la Gazzetta dello sport l'impresa può sembrare immane ed impossibile, ma in realtà qualche possibilità c'è.
Seguirò l'ispirazione datami da migliaia di blogger in tutto il mondo: invece di fare le cose darò le regole per farle - è sempre molto meglio predicare che agire - e per una volta soccomberò anch'io alla regola della "lista delle cose da fare", contenuto principale delle migliaia di cose presenti in Internet:
  1. Quasi tutti gli scrittori moderni sono introspettivi. I personaggi sono sempre stracarichi di problemi, antieroici, delusi dalla vita... Un incrocio tra Dostoevskij e David Leavitt. Non c'è da sorprendersi: non è nient'altro che lo specchio dei tempi attuali, in cui non facciamo altro che piangerci addosso alle nostre disgrazie, vere o immaginarie che siano. Volete fare i miliardi? Basta scrivere di qualcuno che "apparentemente" sia così, ma poi, nella realtà (letteraria) della vostra opera, si riveli un superfigo. Non dico una specie di Superman, ma uno che, invece di stare a piangersi addosso in continuazione, sia in grado di intervenire attivamente sul suo mondo e sulla storia raccontata invece di beccarsi tutte le disgrazie come se un treno (incazzato) gli piombasse addosso. Una specia di Jerry McGuire, per capirci.
  2. Delle lunghe camminate sui lungomare passate a riflettere sul tramonto e sull'esistenza non gliene frega niente a nessuno. Un po' d'azione, qualche mistero da risolvere (sul quale dare indizi, ma non troppi, lungo la storia), qualche nome altisonante da infilarci, o anche una storia basata sullo sport, che è pur sempre una guerra metaforica, o su una guerra vera e propria (ma attenzione in questo caso alle implicazioni politiche che devono sempre essere il più neutrali possibile/favorevoli al pensiero della maggioranza). La musica può essere una buona alternativa. Un ottima fonte di ispirazione possono essere i film americani sullo sport: sono tutti uguali, a malapena cambiano i nomi e lo sport dei protagonisti, eppure sono sempre piacevoli da vedere. Ci sarà un motivo, no? In alternativa ci si può buttare tranquillamente sulla storia d'amore: lui ama lei, lei ama lui, succedono casini, si lasciano, si rimettono e si rilasciano... Qualunque puntata di una qualunque telenovela può dare buoni consigli. L'unico problema è che ce ne sono già migliaia in circolazione, e la possibilità di scrivere un secondo Romeo e Giulietta sono scarsine...
  3. L'italiano è importante. Ma l'italiano è una lingua prolissa, che anche troppo facilmente si lascia andare a lunghe digressioni senza senso. E in più la virgola è una nemica, se possibile da evitare. Scrivere in buon italiano può a volte essere negativo: frasi non troppo lunghe, in cui accarezzare il lettore e non costringerlo a seguirci in voli pindarici. Non bisogna rischiare di farsi catturare dalla tentazione del cazzeggio linguistico continuo: frasi grammaticalmente corrette, ricche di barocche metafore affascinanti ma che... Non portano a nulla. Un buon esercizio, da consigliare a tutti: leggere ad alta voce quello che si scrive; se suonerà bene è molto probabile che si sia anche scritto bene... E il viceversa.
  4. Esotici. Ma non troppo. Ci siamo fondalmente scocciati di un'Italia quotidiana che non fa altro che provare a spezzarci le gambe. Tutti. Ma non bisogna esagerare: siamo pur sempre la nazione di quelli che si lamentano in continuazione del caffé all'estero - che non è mai buono come quello italiano, per la cronaca - e che ordinano l'amatriciana a Dublino. Anche se è scotta e fatta con bacon e cheddar. Quindi bisogna inserire elementi familiari, che ci possano far sentire più vicino quest'esotismo edulcorato. Se si è a Dublino i nostri eroi devono trovare guanciale e pecorino romano, i bucatini De Cecco e mangiarsi un'amatriciana coi fiocchi. Se ci sono personaggi stranieri dovranno pensare come noi Italiani, o al massimo con l'idea stereotipata che abbiamo di loro: Irlandesi ubriaconi, Francesi spocchiosi e Tedeschi precisissimi fanno parte della ricetta, così come gabinetti sporchi in Grecia e Turchia, Americani sempliciotti e Africa misteriosa. Con magari un tocco di complotto militaristico in America Latina e un piano israeliano per colpire gli Arabi prima che loro attacchino Israele. Prego apprezzare il fatto che ho fornito almeno un paio di personaggi, altrettanti spunti per una trama abbastanza interessante e una buona atmosfera generale... Se qualcuno trova un titolo figo e si sobbarca l'infida fatica di scrivere quattrocento pagine di prosa appena decente sappia che farà un sacco di soldi... Dei quali gli chiedo solo un misero 1%.
Mi fermo a quattro consigli, sono pigro. Ci sarebbe un quinto consiglio però: non essere pigri.
E già, perché come disse qualcuno, fare lo scrittore sarebbe un grande lavoro, non si dovesse scrivere... Purtroppo è vero, e quindi esiste un'unica maniera per affrontare e superare questo problema: scrivere, e scrivere in continuazione. Darsi un obbiettivo costante, e scrivere, che so, dieci pagine al giorno come se si dovesse timbrare il cartellino, senza curarsi delle giornate nere, delle telefonate, di andare a fare la spesa e tutto il resto. Produrre centinaia di paragrafi al giorno, alcuni buoni, altri meno buoni. Impegnarsi su ogni parola ma, allo stesso tempo, superare le impasse con la semplice, stolida testardaggina. Il primo giorno sembrerà impossibile, il secondo difficile. Il terzo sarà complesso, ma dopo un po', con l'esercizio, verrà naturale e semplice. E producendo migliaia di parole al giorno si potrà limare e scartare fino ad arrivare ad un buon prodotto. Perché il grande scrittore non si riconosce dalla quantità di carta che produce, ma da quella che butta.
Mio malgrado devo ammettere che è questo il mio più grande problema: posso predicare bene, ma sono il primo che, per un motivo o per un altro, non riesce a mettersi ogni giorno davanti alla tastiera a buttare giù dieci pagine - che siano di grande letteratura o di immondizia - sforzandomi e scrivendo.
Magari un giorno ci riuscirò. E allora - parola di Giovane Marmotta - nel giro di sei mesi avrò finalmente fatto i soldi nella maniera più semplice possibile.
L'importante, nei sogni, è trovare sempre un piccolo ostacolo che ci impedisca di realizzarli...

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Now playing: Buffalo Springfield - For What It's Worth
via FoxyTunes

lunedì 23 giugno 2008

La sicurezza dell'LHC

Finalmente, dopo tanto, troppo tempo durante il quale le peggiori speculazioni avevano trovato libero sfogo in innumerevoli cavolate basate più che sulla fisica sui nomi d'impatto di alcuni "strani" oggetti, il CERN ha pubblicato una serie di rapporti sulle possibilità che quanto prodotto nell'LHC possa annientare il mondo.
Ricapitolando brevemente alcuni avvocati in vena di facezie avevano fatto partire - ovviamente con gran pubblicità e intervento dei mass media - un paio di cause in cui si accusavano gli scienziati del CERN di rischiare letteralmente la distruzione del mondo (o anche, bontà loro, dell'intero universo) creando buchi neri, strangelets, bolle di vuoto o anche puffi blu, se per caso avessero inserito nell'acceleratore un Gargamella incavolato.
Fortunatamente (o no?) le probabilità che questo accada sono meno che infinitesimali. Il CERN ha pubblicato una serie di rapporti che spiegano i motivi per cui l'LHC è meno pericoloso di una teiera messa a bollire. Si possono trovare in rete (qui c'è un riassunto in italiano, qui lo stesso riassunto in inglese, qui il rapporto completo, in inglese, integrato da un addendum sulle strangelets che, tra l'altro, è un interessante pezzo di buona fisica...).
Penso che, ancora una volta, la summa ignorantia dei mezzi di informazione abbia compiuto il suo giro. Sono pronto a scommettere che molti giornalisti generalisti solleveranno dubbi (perché il CERN sente la necessità di controbattere a questi timori se non c'è un fondo di verità?) quando invece si tratta di un'esemplare tentativo, da parte dei fisici dell'organizzazione ginevrina, di spiegare in termini comprensibili al grande pubblico il motivo per il quale essi sono così tranquilli.
Va da sé che la risposta corretta da dare a questi timori sarebbe stato un banale "studiate un po' di fisica e così capirete che state dicendo un mucchio di stupidaggini", ma fortunatamente lassù a Ginevra sono dei signori, molto più gentili di quelli che li accusano.
Sono veramente curioso di vedere quali e quanti giornali riporteranno queste educate ed esaurienti risposte... E quanti, significativamente, le ignoreranno per dare spazio all'ennesimo reportage sugli amori della Canalis.

sabato 21 giugno 2008

La forza degli antenati (parte II°)

Sono a Brindisi, per una toccata e fuga. Il mio Tiranno, il Tempo, continua ad essere padrone. Miliardi di cose da fare, mancanza di tempo per farle, e contemporanamente un tale turbinio di idee e di propositi per il futuro che, a metterle tutte in conto, avrei bisogno di quattro vite per compierle.
Nel frattempo dovrei anche guadagnarmi da vivere, e la quinta vita che sono costretto a vivere per farlo finisce per essere l'unica vita che vivo. Nel frattempo le altre quattro vite, con tutti i loro propositi, le brillanti idee, i rapporti sociali che vorrei avere vanno, molto semplicemente, a farsi fottere.
Conosco molto bene quegli altri quattro Silvio potenziali che vivono quelle vite. Sono brave persone, molto migliori di me, ma hanno tutti una cosa in comune: non devono preoccuparsi di quello che avviene giorno per giorno, non devono rispondere al telefono, non hanno madri malate, compagne bisognose di supporto, lavori stupidi dove si passa il tempo a fare cazzate senza senso per accontentare dirigenti idioti. Non vivono in una nazione dove la cosa più importante, nel momento in cui un governo di tendenze vagamente nazipopuliste ha conquistato il cuore dei miei connazionali, è che la nazionale vinca un'idiota partita di calcio contro la Spagna. Non hanno quel macigno sul cuore che mi impedisce di formulare un pensiero chiaro e distinto.
A volte li odio, e vorrei che non esistessero. Peccato che loro mi rispondono con un sorriso sarcastico. "Appunto, noi non esistiamo, sei tu che esisti e ti becchi tutta la merda, noi siamo in un non-luogo, in un non-tempo. Se noi esistessimo saresti tu a non esistere, se non come incubo. Il peggiore degli incubi."
Si, la diagnosi è facile, sono depresso e senza prospettive, non certo lo stato d'animo migliore per far funzionare il cervello.
In tutto questo piombano degli avvenimenti strani, come dei segnali. Ieri sera ho recuperato, con l'impareggiabile aiuto di Maura e di mia madre, le vecchie foto fatte da mio nonno.
Una serie infinita di foto che partono dal mio bisnonno, Francesco Mongelli, notabile morto negli anni cinquanta del secolo scorso dallo sguardo ironico e allegro, per proseguire con decine e decine di immagini che immortalano questo rubicondo giovane mentre studia medicina a Napoli, mentre si sposa con una bella ragazza, fa un paio di figlie e assiste ai grandi avvenimenti del suo tempo, come l'invasione dell'Albania nel '39 (si, li abbiamo invasi noi per primi) e la guerra. Qualche foto scampata alla censura lo ritrae, medico militare, sul fronte russo. La divisa degli Alpini mentre è a Trieste nel giugno del '43, mano nella mano con moglie e figlie, ignaro che da lì a poco sarebbe stato trascinato in un carro bestiame per una vacanza premio al Sennlager, in Germania, a tempo indeterminato.
Poi la guerra finisce, il fisico già tendente alla pinguedine si espande, le figlie diventano tre e lunghi viaggi lo portano in giro per tutta l'Italia. Foto dopo foto li si vede ridere e scherzare nelle piazze storiche di questo paese, con giusto un paio di automobili a volte sullo sfondo, la maggior parte delle volte vuote e tranquille.
Mio nonno è morto questo stesso giorno, ventuno anni fa. La prigionia in Germania gli aveva massacrato un cuore già troppo generoso, ma fortunatamente ha retto abbastanza a lungo. L'ho conosciuto, lo ho amato, è stato il mio vero maestro anche se è morto troppo presto per potermi avviare verso la strada che lui aveva iniziato. Si è limitato a darmi un'impronta generale, creando quegli altri Silvio che adesso mi tormentano... Anche se, a dire il vero, dovrei solo prendere il coraggio a due mani, mandare al diavolo tutto e tutti e riunirmi con loro, per poter finalmente seguire la sua strada. Forse è troppo tardi, maledettamente troppo tardi, sia per me che per un mondo che, rispetto a quelle foto vecchie di mezzo secolo è più, ha fatto passi da gigante. Purtroppo molti di quei passi sono stati fatti nella direzione sbagliata, esattamente come è avvenuto con me.
In questo trovo un po' di consolazione, alla fine non faccio altro che essere lo specchio di questi tempi impazziti che - invece che conquistare la Luna - si sono buttati nel labirinto di contraddizioni senza senso che sembra essere il marchio indelebile del duemilaeotto. Un duemilaeotto così profondamente diverso da quanto vedo in quelle foto, specchio del secolo breve che adesso, nonostante i milioni di morti, le crudeltà, le privazioni e gli scontri titanici sembra essere tanto più attraente.
Non fosse altro perché loro, gli abitanti di quel secolo, nonostante le minacce e le paure fossero tanto più grandi e terribili di quelle che affrontiamo noi, riuscivano lo stesso a ritagliarsi degli spazi in cui essere allegri e spensierati, in cui condurre per mano una bella moglie e due bambine felici su un lungomare di una città in guerra.
Ho il diario del nonno, so che anche lui aveva le sue paure. Devo chiedergli un ultimo aiuto, dopo che ha fatto tanto per me. Devo imparare da lui, devo trovare la maniera di vivere e riunirmi con quegli altri Silvio che tanto si aspettano da me. Se lui ci è riuscito ci riuscirò anch'io.
Non fosse altro perché non ho alcuna alternativa.

sabato 14 giugno 2008

Conquisteremo mai la luna?

Correva l'anno 1969. Io - come molte delle persone che conosco - non ero ancora nato. Scendendo da una scaletta dal peso e dalla costruzione accuratamente controllati un uomo vestito con una spessa tuta bianca si accingeva a far un piccolo passo. Per lui. Per l'umanità sarebbe potuto essere un passo gigantesco.
Neil Armstrong si bilanciò sulla scaletta, spostò il peso in avanti e fece quel piccolo passo, pronunciando la sua famosa frase. Non disse "potrebbe essere" un balzo gigantesco per l'umanità. Disse "è".
Si sbagliava. Ma non poteva saperlo.
Dopo la missione di Armstrong ci furono altre sei missioni Apollo verso la luna, delle quali cinque riuscirono in maniera ammirevole, rendendo la visione di un uomo inguainato in una goffa ed ingombrante tuta bianca che camminava sulla superfice polverosa del nostro satellite una routine. Quasi una noiosa routine. Gli anni passarono. Ci furono lo Skylab e le Salyut, lo Space Shuttle e la MIR, il Challenger saltato in aria, il Columbia disintegrato e sparso su tutti gli Stati Uniti, la ISS e le immagini del telescopio Hubble.
Però sulla Luna non ci siamo mai tornati. E, a ben vedere, non è che la presenza umana nello spazio abbia poi portato a tanto.
Certo, le missioni automatihce ci hanno regalato tante soddisfazioni. Abbiamo visto le tempeste su Giove e i vulcani di Io, abbiamo mandato rover che tuttora ruzzolano per la superficie di Marte. Escluso Plutone ogni pianeta del Sistema Solare è stato esplorato - per risolvere l'impasse si è deciso alla fine che Plutone non è un pianeta, così adesso possiamo dire che abbiamo raggiunto e fotografato ogni pianeta del Sistema Solare - e giusto per rincarare la dose abbiamo dato uno sguardo ravvicinato anche ad un paio di comete e di asteroidi. Ma la gente nello spazio non è più andata oltre la bassa orbita terrestre, come se fossimo dei ragazzini ai quali la mamma avesse detto, con amore ma decisione, di non allontanarsi dal cortile di casa. Noi, da bravi bambni, abbiamo obbedito.
Quando John Kennedy lanciò la sua sfida alla Luna - e, casualmente, all'Unione Sovietica - disse delle parole pregnanti: "non lo faremo perché è facile. Lo faremo perché è difficile". Questo era lo spirito che impregnava l'intero programma Apollo: fare qualcosa di impegnativo, di terribilmente difficoltoso, per poi guardarsi indietro, assaporare il momento di trionfo e pensare "Cacchio, cosa abbiamo fatto..." sorridendo e scuotendo la testa. Più o meno la stessa meravigliosa sensazione che devono aver provato i fellah egiziani quando, dopo anni di lavoro, seduti sulle rive del Nilo, hanno visto per la prima volta la Grande Piramide finalmente completa, scintillante al sole del tramonto.
La Grande Piramide, come il Progetto Apollo, è un monumento immortale alla difficoltà dell'opera, alle traversie passate per portarla a compimento, alla tenacia, la costanza e l'ingegno degli uomini che hanno penato per portarla a compimento.
Come tutte le grandi realizzazioni il progetto Apollo lasciò dietro di sé un vuoto immenso da colmare. Cosa fare dopo? La NASA aveva i suoi progetti: una grande stazione spaziale, un volo su Venere, non per toccare la superficie venefica e rovente, ma semplicemente per andarci. Poi, chissà, Marte, una base sulla Luna. E poi l'infinito, nello spirito della "nuova frontiera" predicata da Kennedy e fatta propria da Johnson.
Non se ne fece nulla. Il Problema, il vero problema, è che dopo che si era riusciti ad inviare degli astronauti sulla Luna e a farli ritornare vivi a terra, queste imprese, per quanto grandiose, non sarebbero stato più delle imprese difficili. Costose, certo, costose all'inverosimile, ma non difficili: realizzare questi viaggi avrebbe significato tradire in pieno le aspettative e la sfida rappresentate dalla frase di Kennedy. Saremmo potuti andare su Venere, nuovamente sulla Luna, forse anche su Marte, ma di certo non avremmo più potuto dire che lo facevamo perché era difficile. Il lavoro più complicato era già stato fatto, a quel punto non restava che ordinare altri Saturno V, portare altro materiale oltre il pozzo gravitazionale della Terra ed assemblare astronavi sempre più grandi per andare sempre più lontano.
Disgraziatamente dire "lo facciamo non perché sia difficile, ma perché sappiamo già come farlo e basta spendere qualche miliardo di dollari e ci arriviamo" non ha lo stesso appeal di "lo facciamo perché è difficile". E infatti non ha funzionato, non l'abbiamo fatto. Anche perché, triste a dirsi, adesso come adesso i ritorni economici di un programma costoso e grandioso come quello visualizzato dalla NASA alla fine degli anni sessanta sarebbero scarsini, e di sicuro poco remunerativi.
L'attuale - fortunatamente per poco - Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, nella sua ansia pseudo Keynesiana di fornire nuove sfide alla sua nazione in maniera tale da creare occupazione e mantenere l'illusione della nazione leader nel mondo, sta tentando di lanciare un nuovo programma spaziale che abbia come obbiettivo nuovamente la Luna e, eventualmente, Marte. Purtroppo il progetto Constellation manca di appeal: dal punto di vista tecnico non è nient'altro che il vecchio progetto NASA per andare sulla Luna del 1963, accantonato poi per la fretta di battere i russi con uno più rischioso e costoso (ma più rapido nella sua realizzazione). Le tecnologie proposte sono reliquie vecchie di cinquant'anni, con l'unico pregio di essere sicure e affidabili e relativamente poco costose; giusto per fare un esempio le prove in galleria del vento della "nuova" navicella Orion sono state ridotte al minimo, visto che in realtà non è nient'altro che la vecchia Apollo un po' ingrandita. Se poi andiamo sul piano della comunicazione e dell'impatto mediatico... Bé, Constellation ci darà ben poco di più di Apollo, a parte una migliore qualità delle immagini televisive. E sicuramente nessuno potrà dire che si tratti di qualcosa di rischioso e difficile. Constellation è solo lento, metodico e immensamente costoso, anche se non quanto sarebbe costato il programma della NASA dopo Apollo. A malapena ci accorgeremo del ritorno sulla Luna.
Quando, allora, conquisteremo veramente la Luna? Una luce di speranza c'è: Burt Rutan e Richard Branson ci stanno di nuovo portando nello spazio in maniera avventurosa e poco sicura, ma con quel ghigno satanico che contraddistingue i veri esploratori. Le loro fusoliere poco costose in resina epossidica e i modellini in plastica portati in giro su vecchi pickup scassati per testarne l'aereodinamica mi danno, paradossalmente, più fiducia dell'approccio metodico degli impiegati della NASA. Avranno i loro problemi, e forse anche qualche morto, ma sono sicuro che in questo momento stanno sorridendo alla Luna, pronti a spiccare il prossimo, rischioso salto.
Proprio perché è difficile.
E poi la loro prima astronave si chiama Enterprise...

venerdì 13 giugno 2008

Mia cugina

Mia cugina non lo immagina nemmeno, ma lei praticamente è il mio idolo.
E' una donna minuta, gentile, molto delicata, anche se capace di una forza assolutamente inaspettata, riservata ovviamente solo ai momenti di bisogno. Mia cugina ha realizzato molte delle cose che - se fossi stato solo un po' più forte e determinato - avrei potuto fare: ha studiato duramente fuori sede (lei a Bologna, io, inutilmente, a Perugia). Si è laureata in medicina in sei anni, senza perdere nemmeno un mese, uscendone fuori anche come un bravo medico. Durante quel periodo si è anche mantenuta agli studi lavorando come cameriera.
Come specializzazione ha scelto Oncologia Pediatrica. Ora, non lo dico perché lei e mia cugina e le voglio un mondo di bene, ma credo veramente che passare la vita a curare bambini con il cancro sia quanto di più vicino alla santità possa immaginare... E lo dice un laico convinto come me.
Come tante altre persone intelligenti e volenterose anche lei si è schiantata contro il muro della stupidità accademica italiana. E' un sistema perverso e che si autosostiene, impedendo a qualunque persona dotata di un pensiero brillante ed originale di sviluppare le proprie ricerche, di portare avanti le proprie idee (me lo diceva Umberto, uno dei matti che mi stimano...).
Io ne sono stato schiacciato: alla fine questa situazione ha rappresentato uno dei motivi per cui ho mollato l'università. Lei, invece, ha reso questa difficoltà uno stimolo ancora maggiore per continuare a lottare, per farsi avanti. Non solo: cogliendo al volo un piccolo colpo di fortuna è riuscita ad andarsene dall'Italia - forse il mio sogno più potente e pregnante - e a proseguire nella specializzazione a Parigi, nel migliore centro oncologico d'Europa.
Grandiosa. Essendo quella persona intelligente e sensibile che è, non solo è riuscita in poco tempo a padroneggiare il francese (e, en passant, l'inglese), del quale non parlava praticamente una parola, ma è riuscita a fare carriera, diventando stimata e richiesta. Adesso è ad un passo dal Ph.D., fa ricerca, ma non contenta continua le sue guardie in corsia, curando i suoi piccoli malati dalla malattia più brutta del mondo.
Un paio di settimane fa ero a Parigi e ci siamo incontrati. Mi ha presentato il suo fidanzato - Stefàn, non so se capisci quello che scrivo visto il tuo scarsissimo italiano, ma sei una persona meravigliosa ed eccezionale, siete una coppia fantastica... - presentandosi romanticamente abbracciata a lui nel Jardin des Plantés. Hanno portato me e Maura a prendere un aperitivo sul Canal Saint-Martin, poi a cena a Belleville, come omaggio a Pennac... E oltretutto abbiamo mangiato anche bene. ;) Una serata fantastica, da far venir voglia di passarne molte altre così.
Grazie Michaela, sei una delle persone che mi danno veramente fiducia nell'umanità. E, come ho già detto all'inizio di questo (melenso) post, sei uno dei miei idoli.
Continua così, almeno tu. Non farti fregare.

giovedì 12 giugno 2008

Nella terra delle colonne sonore perdute

A volte, quando mi sento dell'umore giusto, penso alla mia vita come ad un romanzo, come un film. Ultimamente trovo il film particolarmente noioso, qualcosa di paragonabile ad un film di Kieślowski... Ma questa è un'altra storia.
E' un esercizio utile, una mia cara amica - ora purtroppo tragicamente scomparsa - chiamava questa sensazione andare in catena: ritrovarsi improvvisamente a vedere dall'esterno la propria vita, le proprie azioni, le proprie idee come se raccontate da un narratore impersonale. Si può completare il tutto con qualche inquadratura, magari particolarmente ardita, innovativa, con delle luci particolari e delle scenografie suggestive; non necessariamente fantascientifiche o elaborate, sia ben chiaro, niente di simile alla galleria degli specchi di Versailles o al cornicione piovoso dell'ultimo scontro di Blade Runner. Presa nel contesto giusto anche la spoglia stanza anonima nella quale sto scrivendo queste due parole può diventare una scenografia suggestiva.
E' un'abitudine che io ho sempre considerato salutare. Oddio, probabilmente la maggior parte degli psicologi potrebbe cosiderarla molto distante dal "salutare". Credo che sia una di quelle cose che, portata appena un po' più in là, possa portare ad una vera e propria psicosi, se non all'autismo più totale.
Ma, alla fine, io sono un po' autistico, quindi non ne sono del tutto preoccupato.
Collegato all'andare in catena è un altro mio viziaccio - se così si può dire - quello del narrare. Narrare non è banale. E' un qualcosa che riesce bene, di solito, con qualche bicchiere di alcool in corpo. Voi che leggete (sempre i miei dieci manzoniani lettori) potreste provarla in qualche momento: prendete la situazione in cui siete, fate un respiro profondo e cominciate a narrarla, come se foste un autore. Un esempio?
Nell'ufficio erano rimasti in pochi, vista l'ora tarda. Qualcuno vagava di stanza in stanza con poco da fare, giusto per accumulare qualche minuto di straordinario in più. Qualcun'altro, curvo sul proprio computer, lottava con il codice che scorreva sullo schermo, tentando di risolvere quei problemi che aveva dato per banali e semplici e che invece si stavano rivelando ostici ostacoli, impossibili da superare, fonte di altri problemi, di telefonate in tono sommesso a compagne e compagni scocciati ed ansiosi, di occhi rossi e lacrimosi accompagnati da mal di testa inopportuni.
In un ufficio deserto, solo, Silvio batteva sulla tastiera con costanza. Joe Strummer suonava dal suo computer mentre lui affidava il suo pensiero del momento al suo blog. - "Dovrei farlo più spesso" - pensava mentre scriveva, stupito di come dall'aridità della sua vita di quei giorni venissero fuori lo stesso parole abbastanza interessanti... O almeno lo sperava. Raccontare, per lui, era stata una seconda natura. Giocare con le parole, carezzare con destrezza le menti di chi leggeva, passare rapido le dita dei suoi pensieri sui punti più sensibili di chi ascoltava era stata per lui un'attivita paragonabile solamente al sesso... Anzi, a volte anche più soddisfacente.
Però, tristemente, quella che era stata la parte più amata di se stesso stava diventando lentamente sempre di più un ricordo. E' un momento triste quando delle parti di sé diventano un ricordo, un segno dei tempi che cambiano. In peggio. Mentre scriveva Silvio pensava a quelle cose che si era lasciato indietro senza volerlo. Non narrava più tanto spesso, non scriveva quasi più. Le parole non scritte che erano fuggite dalla sua vita avevano portato via con sé il sorriso sardonico che gli permetteva di sopportare noia e disagio, paure e momenti di sconforto. E, soprattutto, avevano portato via con sé le colonne sonore.
Quelle musiche così importanti. Anni addietro Silvio aveva passato ore ed ore a scegliere con attenzione quali musiche ascoltare e in quale momento. Come in mistiche cerimonie religiose, da adepto di un culto misterico quale era, si era chiuso nel buio della sua stanza, preso con religiosa reverenza i vinili ingombranti, ammirato le copertine, fatto passare il panno sul disco per pulirlo dalla polvere. Aveva preso in mano la puntina, l'aveva posata con delicatezza nello spazio bianco tra due brani, avviato il registratore, pronto ad interromperlo nel momento esatto in cui la conzone avesse esalato l'ultimo respiro. E poi di nuovo sollevare la puntina, riporre con attenzione il disco nello scaffale, prenderne un altro, indovinare il giusto stato d'animo che la successione di canzoni avrebbe dovuto provocare. I due lati della C90 diventavano qualcosa di più di una cassetta. Diventavano la colonna sonora dei suoi pensieri, delle sue azioni, del film della sua vita. Anche nel tempo dei film muti i pianisti sottolineavano con la musica le azioni, e quelle cassette erano la preparazione, la droga che avrebbe suscitato dentro di lui le giuste emozioni.
Adesso anche loro erano andate, bruciate dalla tecnologia, dalla frenesia della vita ipercinetica ma piena a sua volta di momenti vuoti e inutili che conduceva.
Il nastro magnetico col tempo si deteriora. Perde informazioni, mentre il fruscio del rumore bianco si sovrappone sempre di più alla musica. Nella stessa maniera le parole che un tempo erano la vita stessa di Silvio, la narrazione continua e in tempo reale delle sue azioni e dei suoi pensieri, si era lentamente persa nel rumore bianco dello svegliarsi ogni mattina, rapida doccia, traffico, lavoro, telefonate, mal di testa, problemi, traffico ancora, casa, cena, televisione e letto.
Il rumore bianco della banalità aveva portato via quelle cassette confezionate con cura insieme alla narrazione, rendendola piatta ed insipida. I suoi momenti belli erano lì, pronti a tornare. Nella terra delle colonne sonore perdute, dove le musiche che aveva amato accompagnavano tutto quello di bello che aveva fatto.
Dove musiche ancora non ascoltate erano pronte ad accompagnare le nuove follie che avrebbero finalmente reso di nuovo interessante la narrazione.
Basta tornare ad avere il coraggio di ripassare il panno sul vinile per rimuovere il dannato rumore bianco che offusca tutto.

Dio santo, mi sa che sono andato troppo oltre. E forse sono stato troppo melenso.
Ma va bene così, almeno stasera, da solo in quest'ufficio mentre aspetto che arrivino le 10.