lunedì 29 dicembre 2008

Social network, 2008

Notte. Notte fonda, anzi, visto che è passata mezzanotte. Cambiamo la giornata - per convenzione, a dire il vero, visto che un abitante di Tonga vede già il tramonto e per un Hawaiano è appena cominciata la serata - e cambia il nostro atteggiamento.
Sarà che non si riesce a dormire, sarà la serata strana - eppure convenzionale - ma la percezione cambia.
“Notte fonda” è u periodo strano. E’ il periodo in cui ti tornano alla mente gli Stray Cats, just when a perfect domestic cat is purring on your leg, grazie al suggerimento di un amico.
Con cui, giusto per la cronaca, non parli da quasi un anno, ma che ti è sempre caro da morire, non fosse altro perché è uno di quei pochi ancoraggi che ti legano alla realtà, mentre un forte vento soffia e tenta di strappare gli ancoraggi e portarti in un mondo - diverso forse - pericoloso come degli scogli sottovento.
Non ci parlo da quasi un anno e mi dà un suggerimento. Potenza dei social network. Bé, 2008, sarai stato anche un anno di merda, ma ci hai portato qualcosa che potrebbe - e nota bene, dico solo potrebbe - essere un grande cambiamento della nostra misera, sbattuta e stanca società. Niente di particolare sia bene inteso, giusto una misera sostituzione dell’unica cosa che ci rende veramente umani, il senso della socialità, della tribù che è l’unica cosa che veramente ci importa, quella cerchia di persone, di conoscenti, di amici - ma quant’è difficile da definire questa parola? - che ci definisce molto meglio di una legione di psicoterapeuti assetati dei nostri ricordi e delle nostre paure.
Non siamo ciò che siamo, questa è una balla fantasmagorica tirata fuori da chi ci vuole far passare per individualisti ad ogni costo, per schiavi, servi del nostro autocompiacimento e della nostra voglia di essere qualcuno prima ancora di essere parte di un gruppo. Invece siamo il nostro gruppo, le nostre conoscenze. Eugenio ha percezioni di me diverse da quelle di Francesco, e a sua volta diverse da quelle di Fulvia. Davide non ne parliamo. Maura è una storia a sé.
Eppure noi siamo, né più né meno, quello che loro percepiscono, una serie di armoniche tutte diseguali eppure complementari, che concorrono impietosamente a formare quel suono che ci definisce da cima a fondo. Solo il battito fondamentale, le battute per minuto che ci scandiscono, sono il nostro contributo. Il resto, il freddo e confusionario resto di noi stessi, non è altro che la somma di queste miriadi di impressioni diverse. Collega, amico, capo, sottoposto. Amore. Figlio. Noi siamo quella somma, quella combinazione, ognuno un tono a sé impercettibile e continuo che ci delinea lentamente, armonica dopo armonica.
A volte un suono bellissimo, a volte terribile. Quasi sempre interessante.
A meno che - e il vostro umilissimo autore si scusa per lanciarsi in una metafora così banale - le armoniche che compongono e modulano questo suono non siano così rade, così poche e così accordate nella loro esilità da fondersi in un suono primario, in un onda quadro, di battito prevedibile e definito, che dopo poco scade in pulsazione, degrada in fastidio, per raggiungere in pochi istanti l'umiliante condizione di rumore di fondo, un piccolo suono che non ci raggiunge se non per le sue occasionali, disturbanti discordanze.
Per come la penso io è un destino di poco peggiore della morte.
Forse è per questo che amiamo tanto i social network.
Sono un surrogato - certo, niente di reale - ma ci permettono - almeno nella nostra mente malata e poco attenta - di illuderci di vivere ancora nella piacevole nebbia famigliare del giro di amicizie, quella cosa misteriosa che il meraviglioso mondo denominato Italia 2008 sta facendo di tutto per strapparci via. A malapena parli con quelli con cui lavori, se sei fortunato ne vale la pena, se la sfiga ti ha eletto a tuo compagno preferito sono delle personalità con le quali non vuoi avere niente a che fare. Torni a casa imbacuccato in una cassetta di lamiera assetata di benzina che non fa altro che isolarti da tutto quello che sta intorno, freddo, pioggia o contatto umano che sia. Torni a casa e non vuoi sentire nessuno perché costa fatica, ti schianti davanti alla televisione, bevi, mangi, ti fai una canna, mangi di più.
E stai con te stesso, invariabilmente, mentre il tuo suono perde di ricchezza, le armoniche si sfilano una dopo l’altra, il ritmo si fa costante e continuo, senza accenti né sbavare di una virgola.
Il tuo suono si fa sempre più monotono e noioso. Non interessante.
Provare ad inserire un battito nuovo diventa sempre più difficile. Di più, inutile.
Una sigaretta dopo l'altra finisci per convincerti che quel suono sei veramente tu... E hai voglia di qualcosa di più. Si cambia il ritmo, si inserisce una variazione. Chorus, verse, chorus, verse, middle eight, chorus, verse. La pulsazione comincia ad acquistare vita. I contatti si moltiplicano. Ridi con uno, scherzi con l'altro. Usi qualcuno per far riaffiorare quei ricordi lontani che un tempo erano te. Solo che non sono pericolosi scogli affilati quelli che affiorano, ma dolci spiagge che possono ospitare, sia pure per qualche momento, la tua barca annoiata.
Sto andando bene? E' un buono stile? Parlo, Comunico, Racconto?
Abbiamo oscillatori e campioni al posto dei buoni vecchi basso, chitarra e batteria, è il 2008 - quasi 2009 - e dobbiamo affidarci a queste - stramaledette! - reti di comunicazione per poter ricostruire una parvenza di rete sociale. Troppo complicato, troppo doloroso rientrare nella realtà.
A volte crei, senza accorgertene, nuovi legami. Il collega di lavoro che comincia a scambiare commenti con l'amica che non vedi da dieci anni. La causa, inventata per una semplice associazione di idee, che vede assieme l'amico fraterno e il ragazzo che lavora per te, senza distinzioni. E' figo quando succede, sembra come una bevuta tra amici del periodo d'oro. Con la gente che si presentava e che dopo dieci minuti - e, a dire il vero, anche dopo tre o quattro birre - era un amico fraterno. Un pallido surrogato, certo, ma a modo suo funziona.
Dio, certe volte vorrei che qualcuno alla Cisco desse di matto e mandasse a puttane tutta questa roba, tutta quest'infrastruttura che ci dà una minima, minima possibilità di non impazzire tutti o di non tramutarci tutti in automi senza senso.
Ma devo stare attento ad esprimere queste aspettative. Come dice un antico proverbio arabo:
Attento a pronunciare i tuoi desideri ad alta voce nel deserto. Allah potrebbe sentirli. Ed esaudirli.