giovedì 17 settembre 2009

Ce l'ho.


Ce l'ho. Ma sono un po' troppo stanco per scriverne, ed ho un cospicuo manuale da leggere. Ne scriverò in seguito, con calma.
Ce l'ho. Ed è una figata...

lunedì 7 settembre 2009

Piccolo aggiornamento sulla procedura d'acquisto

Ok, la cosa sta andando avanti. Se non regolarmente almeno un passo dopo l'altro, cavolo.
Ho pagato l'attrezzo integralmente e firmato tutte le carte. Tecnicamente la macchina è mia. E quindi dovrei aver risolto. Senonché questi... Concessionari (esiste insulto peggiore?) se la prendono un po' comoda con la consegna, accampando vari problemi logistici (che ovviamente prima non esistevano).
Risultato: me la consegnano dal 16 settembre in poi (e si potrebbe andare a finire anche al 21). Alla faccia della pronta consegna.
Non sto facendo altro che ripetermi che devo essere ottimista, che non devo pensare ai possibili disastri.
Ma è dura darmi ascolto...
Mantengo le dita incrociate. Anche quelle dei piedi.

mercoledì 2 settembre 2009

Big Wednesday

Il risveglio fondamentalmente è normale. Sveglio alle 0600, alzato dal letto alle 0630, fuori di casa alle 0715. Come ogni giorno da svariati anni a questa parte, non è cambiato niente, perché sarebbe dovuta essere una giornata particolare?
Bé, qualche motivo c’era già in partenza. Dopo svariati anni e 185000 chilometri di onorato servizio la mia macchina sta cominciando a dare evidenti segni di imminente collasso. Un paio di luci sono kappaò - ma se non cambio le lampadine dubito che si accendano per puro miracolo - il motore è un po’ sfiatato, il parasole lato guidatore non ne vuole sapere di stare su, le sospensioni andrebbero ricostruite. Per di più domenica, mentre stavo andando tranquillamente a fare un po’ di spesa (fondamentalmente la sabbia per il gatto, quel felino caca come un equino) con un amorevole “scataclonc!” il finestrino lato guidatore è venuto giù. Con l’aiuto di un po’ di duct tape adesso sta su, ma non posso aprirlo ed è veramente una rottura.
Segnali, segnali importanti. E’ giunta l’ora di cambiarla. Il finestrino ha dato il colpo di grazia.
Un paio di piccoli problemi si pongono: non ho soldi da spendere, quindi o mi tocca una megarata di quelle spezzagambe a lunga durata o chiedo i soldi a mia madre. Ci penso. Soffro. Elucubro. Mi decido.
Mamma?
Fortunatamente ce li ha ed è (ragionevolmente) felice di potermeli dare. Alla fine la predica non è nemmeno troppo pesante - anche se io la prendo malissimo, deprimendomi all’inverosimile - e almeno questo punto è - quasi - risolto.
Lunedì vado in concessionaria e prendo gli accordi: si contratta il prezzo, il mio vecchio catorcio viene valutato poco più che un pezzo di ferro (me l’aspettavo, non potevo pretendere di più) e rimaniamo d’accordo che l’indomani mattina ci saremmo sentiti per bloccare la macchina. Ce n’era solo una in pronta consegna e bisognava fare in fretta per approfittare di uno sconto concesso dalla casa. Tutto bene, quindi...
Col cavolo. Il giorno dopo il telefono è muto, non squilla. Chiamo la concessionaria per avere notizie ma “il venditore oggi non c’è, domani torna”. Ok, pazienza, le cose non possono andare tutte male.
Stamattina un altro segnale. Accendo la macchina e parte la spia dell’olio. Cavolo. Ci mancava solo questo. Potrebbe essere il sensore - è già successo un paio di volte - o potrebbe essere che veramente c’è una perdita. Quella spia mi mette un po’ di fretta, non mi va di aspettare un paio di mesi con un catorcio che è diventato quantomeno rischioso da guidare.
Mando un SMS a mia sorella, che accompagna mia madre in banca, con il mio IBAN.
Dopo un po’ squilla il cellulare.
Silvio? Sono in banca, stiamo facendo il bonifico, ma mancano dei numeri all’IBAN...
Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Nel cambio di telefono qualche mese fa l’IBAN, che porto come appunto sul telefonino, si è troncato. E io ce l’ho a casa.
Pensa, Silvio, Pensa. Elaboro anche una fuga in banca per chiedere pietà, ma poi mi si accende una lampadina: Maura ha il mio IBAN! La chiamo e - Santa Maura! - dopo pochi minuti lei me lo manda per posta. Chiamo mia sorella e, almeno, il bonifico parte. Speriamo arrivi in fretta.
Dal lavoro chiamo la concessionaria, il venditore ancora non c’è, forse nel pomeriggio. Una lampadina mi si accende e mi comincio a preoccupare. Chiamo la sede centrale.
Ma...
Guarda, è malato, ma a dire il vero non so proprio se torna, so che se ne sta andando. Anzi, forse si è proprio licenziato.
Ma non vi è arrivata la comunicazione per bloccare la macchina?
No, qui non ne sappiamo niente.
Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Anzi, stasera dovrebbe venire una persona che era interessata, se ti sbrighi la blocchi e la prendi tu, altrimenti ti tocca aspettare...
Ok, non c’è problema, arrivo.
Avviso tutti, prendo un permesso e scappo di sotto. La sede centrale è dall’altra parte della città, se sono sfortunato è più di un’ora di macchina, mi fermerò sul raccordo per fare benzina e mettere un paio di chili d’olio.
Accendo. Parto.
Scotoclonc sclanc scalc, fa la macchina mentre si muove. Conosco questo rumore.
Cazzo.
Mi fermo e parcheggio. Ho forato la gomma anteriore destra. La stronza non ne vuole proprio sapere di farsi vendere. Cazzo.
Ok, calma e sangue freddo. Cric e ruotino sotto il sole cocente dell’una, 35 all’ombra, in quattro secondi netti sono piegato a terra che sbuffo e grondo sudore, mi sporco fino ai gomiti, bestemmio, i bulloni sono pure duri, ma metto il ruotino e mi incammino. Piano, è meglio non rischiare, ci manca solo che mi schianti.
Arrivo alla stazione di servizio all’autogrill, metto il paio di chili d’olio, faccio benzina e - miracolo! - vedo che nell’angolo c’è un gommista. Una mezz’ora e dieci euro dopo sono di nuovo sul raccordo, la spia non si spegne, spero proprio che non ci sia qualche perdita, ci mancherebbe, ma voglio far finta di niente. Arrivo alla concessionaria, fetente, puzzolente, imbrattato di grasso su tutti gli avambracci, ma pronto a comprare la macchina.
I venditori d’auto sono... Bé, affidabili come venditori d’auto. Un pelo al di sopra degli agenti immobiliari, ma sempre al di sotto dei lombrichi, molto al di sotto. Sia come sia concludiamo l’affare, comprensivo della valutazione da “pezzo di ferro” del mio catorcio. Arriva l’ultima botta.
Senti, ci sarebbero problemi per te se ti immatricolassimo la macchina ad ottobre?
Ahem... Ottobre? Pronta consegna? Pare, ma solo pare, che le macchine in pronta consegna siano diventate improvvisamente due - ma guarda un po’! - e quella del colore che preferivo (canna di fucile) non può essere consegnata se non ai primi di ottobre. Altrimenti la posso avere anche tra una decina di giorni. Ma grigio argento. Ci penso qualche secondo, più che altro per fare scena, non posso dire subito di si. Non mi fa impazzire il grigio argento, ma posso conviverci. Almeno lo sporco si vede di meno e si scalda un po’ meno al sole. A quel punto mi hanno preso per stanchezza, la prenderei anche viola a pois. Accetto. Firmo. Se il bonifico non dà problemi - e voglio ben sperarlo! - martedì prossimo gli porto un cospicuo assegno e il sabato dopo, o alla peggio il lunedì successivo, dovrei poter ritirare la macchina.
Torno a casa piano, la spia dell’olio è ancora accesa. Per un attimo penso di fermarmi da un meccanico per fargli dare un’occhiata, ma poi non mi sento in grado. Non oggi, forse domani. Arrivo a casa, faccio una lunga doccia. Sono stanco.
Ma, forse, adesso ce l’ho fatta.

sabato 29 agosto 2009

Vent'anni dopo

Ecco, è strano mettersi a parlare di quel periodo, come se non fossero passati vent’anni, cercando di ricordare, di capire cosa pensavamo allora, quand’eravamo semplicemente dei banali diciottenni.
Artifici letterari, a ben guardare, nel disagio che ci portavamo dietro. Un disagio che era a sua volta il risultato di un artificio letterario.
Beninteso, eravamo ribelli. Tutti i ventenni sono ribelli, tranne misteriosamente quelli di oggi, e noi non facevamo eccezione. Però a dire il vero eravamo un po’ scarsi di motivi di ribellione. Non che non ne avessimo (c’erano Craxi, Andreotti e Forlani, tanto per dirne una), ma alla fine non facevamo una vita troppo schifosa, avevamo delle prospettive davanti e ancora nessuno sapeva cosa diavolo fosse un call center.
Il problema è che ci eravamo nutriti di una dieta continua di guerra del Vietnam, John Lennon, Anarchy in U.K. e roba del genere, roba forte che faceva veramente sballare il cervello. Non potevamo far a meno di atteggiarci come una via di mezzo tra punk londinesi del ’77 e fricchettoni di Woodstock. Sapevamo benissimo che le due categorie, in fondo, si odiavano profondamente. Avevamo una cultura enciclopedica su quei fatti, giungendo a ricordare i cambi di batterista con precisione maggiore di quanto un ragazzino di adesso possa citare le formazioni della Roma 2001-2002, ma nonostante questo coltivavamo una visione eroica ed idealistica della continuità spirituale tra le ribellioni che ci portava a mettere sullo stesso palco Gene Vincent, Syd Barrett e Johnny Rotten senza problemi.
A ripensarci sarebbe stata una scena divertente, si sarebbero letteralmente scannati come lupi affamati messi nello stesso recinto.
Però avevamo ragione, era la stessa cosa.
Noi, mancando in fondo un serio motivo di ribellione contro cui scagliarsi come un treno contro un binario morto, ci buttammo contro i Duran Duran. E gli Spandau Ballet. E tutta quella merda che non faceva altro che passare in continuazione in televisione e nelle radio commerciali, riempiendo timpani e cervelli dei nostri poveri coetanei di stupidaggini di basso profilo. Niente giubottini colorati, pelle nera e stivali, atteggiamento da rocker. E guai a parlare di discoteche o a giudicare positivamente un pezzo di Phil Collins, si rischiava la radiazione dall’albo.
Avevamo ragione anche in questo, era e rimane cacca secca di cammello. Anche se adesso va di moda ricordarla con nostalgia e parlarne bene. Merda secca, altro che musica.
Molti imbracciarono le chitarre, i bassi e si armarono di bacchette e sulla base di questi presupposti iniziarono a fare musica. E che musica... Con degli ispiratori del genere non poteva che venirne fuori roba esplosiva, originale, innovativa, eccitante, termonucleare. A Brindisi, una cittadina di centomila abitanti scarsi, c’erano almeno otto gruppi diversi che suonavano, facevano concerti, componevano canzoni, si ubriacavano assieme, parlavano - molto - e agivano - molto, ma non abbastanza - per portare fuori questa loro arte nascosta, fermamente convinti di produrre ottima musica, un’ottima filosofia di vita, vivendo gli anni migliori della propria vita come un’unica, corale, appassionante e intrigante opera d’arte.
Mi duole ripetermi, ma avevamo ragione anche in questo. Nello stesso momento, in America, succedeva esattamente la stessa cosa. Dalle piccole città si alzava un suono di chitarre distorte che con cupa allegria si dedicava a sfanculare con rabbia l’establishment musicale, sociale, economico che era stato costruito con tanto impegno dalle generazioni precedenti.
Cazzo, loro però hanno avuto successo.
Ora tutti sanno chi sono i REM e i Nirvana, ma Blackboard Jungle e Birdy Hop li conosciamo in pochi, eppure facevano le stesse cose nello stesso periodo. Anche se, a dirla tutta, la differenza alla fine la fece venire da Seattle, fare duecento concerti all’anno in posti dove un produttore decente prendeva la macchina e in mezz’ora era lì. Molto, molto più facile che venire da Brindisi, fare trenta concerti all’anno in posti dove ti ritrovavi di fronte sempre le stesse persone, nessun produttore e dove a mala pena ti pagavano se non bevevi troppe birre.
Però la musica c’era, cazzo se c’era.
Sono passati vent’anni, la maggior parte di noi non ha ancora messo la testa a posto, a testimonianza di quanto fossimo... No, mi correggo, siamo convinti di quello che pensavamo all’epoca. La musica è ancora grandiosa, riascoltandola non è invecchiata assolutamente e non era per niente roba da dilettanti allo sbaraglio.
Ma soprattutto rimane quell’opera d’arte che è stata la nostra vita in quel periodo, immensa, torreggiante e splendida come una cattedrale gotica, il miglior capolavoro che potessimo produrre.
Avevamo ragione, l’ho detto, e anche se nessuno lo sa, siamo stati capaci di mettere assieme degli anni magnifici.
A proposito, non abbiamo ancora finito.

domenica 8 febbraio 2009

Testamento biologico?

Pare proprio che sia diventata una necessità. Esprimere chiaramente la propria volontà, non limitarsi ad accennare casualmente alle proprie convinzioni, lasciando liberamente ad "altri" - chiunque essi siano - il compito ingrato di trasformare questi accenni monchi e scevri di chiarezza in azioni reali.
In fondo non è un male. Che noi italiani, soprattutto noi che ci pecchiamo di essere intellettuali (intellighénzia? In questo paese significa riuscire a parlare di qualcosa che non sia l'ultima partita di calcio o l'ultima lite al Grande Fratello...), veniamo costretti ad esprimere una posizione chiara ed inequivocabile, senza quelle ampie fasce di ambiguità che sembrano essere una caratteristica di qualunque affermazione fatta in questa lingua.
Allora, si parlava di testamento biologico. Al momento in Italia questa cosa non ha alcun valore legale. Di più, visto l'orientamento bigotto e simil-populista della stragrande maggioranza del popolo italiano se mai si arriverà ad una legislazione è molto probabile che non ci sia mai un riconoscimento pubblico di quanto sto per scrivere. Probabilmente ritorneremo al medioevo giuridico dei dettami della Chiesa, ma, tant'è, io ci provo.
Primo punto: se schiatto, schiatto. Cuore fermo, cervello morto, non c'è discussione. Se ci sarà in quel momento qualcosa di buono da recuperare dal mio corpo allora che sia recuperato; quello che rimane, se possibile, venga cremato. Non chiedo a nessuno di conservare le ceneri: se si trova un bel posto, magari sul mare (non ad Ostia...), spargetele al vento. Non è una romanticheria inutile: non credo nella venerazione di un corpo in decomposizione e sarebbe bello rientrare al più presto nel ciclo della vita. Vorrei evitare i sacramenti cristiani, al momento non riconosco alla Chiesa cattolica alcun valore morale, ma se mia madre fosse ancora viva quando muoio so che le farebbe piacere. Per lei, quindi, ma non per me, potrei fare un'eccezione e ammettere che un prete faccia alcuni gesti per renderla felice. Se mia madre non ci fosse più quando verrà il momento... Bé, in quel caso è lineare: niente estrema unzione e funerale civile. Non voglio preti vicino al mio cadavere.
Morte cerebrale? Vedi sopra. Se il mio cervello non funziona più allora io non ci sono più. Quindi vedi sopra. Al momento la legge è d'accordo con me, ma visto come stanno le cose non credo che sia una situazione destinata a durare. Quindi, per evitare rischi, ribadisco: se per caso mi ritrovassi in uno stato di morte cerebrale e la mia volontà contasse ancora qualcosa togliete tutto quello che possa essere utile agli altri e cremate i pezzi di carne che avanzano. La morte cerebrale è morte a tutti gli effetti.
Stato vegetativo... E qui le cose si fanno complicate. Il corpo e vivo e funzione, ma il cervello - sia pur mantenendo quelle funzioni necessarie a tenere in vita il corpo - è andato. La coscienza non c'è più. O almeno credo che sia così, visto che nessuno è mai tornato da quella condizione per raccontarci cosa c'è. Non ho prove sceintifiche per affermare quanto sto scrivendo, ma sono profondamente convinto - e mi dicono che ad analizzare queste cose sono bravino - che non rimanga assolutamente niente di sé in quella condizione. Di conseguenza chiedo, imploro, supplico che se mai venissi a trovarmi in quella disgraziata condizione si faccia quanto possibile per accelerare la fine delle funzioni vitali del mio corpo, inclusa l'eventuale interruzione di alimentazione e idratazione. Un linguaggio freddo e crudele, ma - almeno spero - chiaro ed inequivocabile. Fatemi la pelle, non voglio rimanere come un corpo che sopravvive a sé stesso.
Coma... E cioé incoscienza più o meno profonda. La letteratura scientifica dice che dal coma, anche dal più profondo, è possibile tornare. Spesso in questi casi si hanno danni cerebrali, la coscienza, che io continuo ad identificare cartesianamente con l'individuo, può riemergere intatta come più o meno danneggiata. Diamo il beneficio del dubbio: provate a salvarmi la pelle. Vedete cosa ne esce fuori, se possibile, ma non accetto di essere mantenuto all'infinito in uno stato di coma se non c'è possibilità di recuperare almeno qualche funzionalità. Il parere dei medici ha un'importanza fondamentale in questo caso: se dicono che ci sono possibilità - al momento o in un futuro prossimo in cui la tecnolologia possa compiere qualche sviluppo che al mopmento pare ai limiti del miracoloso - che possa tornare, sia pure menomato, allora che si tenti. Ma quando le speranze si siano estinte non costringetemi alla tortura di continuare semplicemente, di essere un corpo vuoto da far sopravvivere indefinitamente. Se starò sognando in quel momento sappiate che la mia volontà è che quel sogno si spenga, perché possa diventare un ricordo nello spirito di chi ci ama. Non intendo far soffrire inutilmente, più del necessario, chi mi vuole bene.
Se poi mi debba ritrovare in una situazione in cui sono cosciente e condannato, magari sofferente... Bé, quella è una situazione diversa. Avrò, almeno spero, la possibilità di dire la mia, di fare valutazioni. E, questa è una promessa, sarò molto chiaro nell'esprimere ciò che voglio.