sabato 14 giugno 2008

Conquisteremo mai la luna?

Correva l'anno 1969. Io - come molte delle persone che conosco - non ero ancora nato. Scendendo da una scaletta dal peso e dalla costruzione accuratamente controllati un uomo vestito con una spessa tuta bianca si accingeva a far un piccolo passo. Per lui. Per l'umanità sarebbe potuto essere un passo gigantesco.
Neil Armstrong si bilanciò sulla scaletta, spostò il peso in avanti e fece quel piccolo passo, pronunciando la sua famosa frase. Non disse "potrebbe essere" un balzo gigantesco per l'umanità. Disse "è".
Si sbagliava. Ma non poteva saperlo.
Dopo la missione di Armstrong ci furono altre sei missioni Apollo verso la luna, delle quali cinque riuscirono in maniera ammirevole, rendendo la visione di un uomo inguainato in una goffa ed ingombrante tuta bianca che camminava sulla superfice polverosa del nostro satellite una routine. Quasi una noiosa routine. Gli anni passarono. Ci furono lo Skylab e le Salyut, lo Space Shuttle e la MIR, il Challenger saltato in aria, il Columbia disintegrato e sparso su tutti gli Stati Uniti, la ISS e le immagini del telescopio Hubble.
Però sulla Luna non ci siamo mai tornati. E, a ben vedere, non è che la presenza umana nello spazio abbia poi portato a tanto.
Certo, le missioni automatihce ci hanno regalato tante soddisfazioni. Abbiamo visto le tempeste su Giove e i vulcani di Io, abbiamo mandato rover che tuttora ruzzolano per la superficie di Marte. Escluso Plutone ogni pianeta del Sistema Solare è stato esplorato - per risolvere l'impasse si è deciso alla fine che Plutone non è un pianeta, così adesso possiamo dire che abbiamo raggiunto e fotografato ogni pianeta del Sistema Solare - e giusto per rincarare la dose abbiamo dato uno sguardo ravvicinato anche ad un paio di comete e di asteroidi. Ma la gente nello spazio non è più andata oltre la bassa orbita terrestre, come se fossimo dei ragazzini ai quali la mamma avesse detto, con amore ma decisione, di non allontanarsi dal cortile di casa. Noi, da bravi bambni, abbiamo obbedito.
Quando John Kennedy lanciò la sua sfida alla Luna - e, casualmente, all'Unione Sovietica - disse delle parole pregnanti: "non lo faremo perché è facile. Lo faremo perché è difficile". Questo era lo spirito che impregnava l'intero programma Apollo: fare qualcosa di impegnativo, di terribilmente difficoltoso, per poi guardarsi indietro, assaporare il momento di trionfo e pensare "Cacchio, cosa abbiamo fatto..." sorridendo e scuotendo la testa. Più o meno la stessa meravigliosa sensazione che devono aver provato i fellah egiziani quando, dopo anni di lavoro, seduti sulle rive del Nilo, hanno visto per la prima volta la Grande Piramide finalmente completa, scintillante al sole del tramonto.
La Grande Piramide, come il Progetto Apollo, è un monumento immortale alla difficoltà dell'opera, alle traversie passate per portarla a compimento, alla tenacia, la costanza e l'ingegno degli uomini che hanno penato per portarla a compimento.
Come tutte le grandi realizzazioni il progetto Apollo lasciò dietro di sé un vuoto immenso da colmare. Cosa fare dopo? La NASA aveva i suoi progetti: una grande stazione spaziale, un volo su Venere, non per toccare la superficie venefica e rovente, ma semplicemente per andarci. Poi, chissà, Marte, una base sulla Luna. E poi l'infinito, nello spirito della "nuova frontiera" predicata da Kennedy e fatta propria da Johnson.
Non se ne fece nulla. Il Problema, il vero problema, è che dopo che si era riusciti ad inviare degli astronauti sulla Luna e a farli ritornare vivi a terra, queste imprese, per quanto grandiose, non sarebbero stato più delle imprese difficili. Costose, certo, costose all'inverosimile, ma non difficili: realizzare questi viaggi avrebbe significato tradire in pieno le aspettative e la sfida rappresentate dalla frase di Kennedy. Saremmo potuti andare su Venere, nuovamente sulla Luna, forse anche su Marte, ma di certo non avremmo più potuto dire che lo facevamo perché era difficile. Il lavoro più complicato era già stato fatto, a quel punto non restava che ordinare altri Saturno V, portare altro materiale oltre il pozzo gravitazionale della Terra ed assemblare astronavi sempre più grandi per andare sempre più lontano.
Disgraziatamente dire "lo facciamo non perché sia difficile, ma perché sappiamo già come farlo e basta spendere qualche miliardo di dollari e ci arriviamo" non ha lo stesso appeal di "lo facciamo perché è difficile". E infatti non ha funzionato, non l'abbiamo fatto. Anche perché, triste a dirsi, adesso come adesso i ritorni economici di un programma costoso e grandioso come quello visualizzato dalla NASA alla fine degli anni sessanta sarebbero scarsini, e di sicuro poco remunerativi.
L'attuale - fortunatamente per poco - Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, nella sua ansia pseudo Keynesiana di fornire nuove sfide alla sua nazione in maniera tale da creare occupazione e mantenere l'illusione della nazione leader nel mondo, sta tentando di lanciare un nuovo programma spaziale che abbia come obbiettivo nuovamente la Luna e, eventualmente, Marte. Purtroppo il progetto Constellation manca di appeal: dal punto di vista tecnico non è nient'altro che il vecchio progetto NASA per andare sulla Luna del 1963, accantonato poi per la fretta di battere i russi con uno più rischioso e costoso (ma più rapido nella sua realizzazione). Le tecnologie proposte sono reliquie vecchie di cinquant'anni, con l'unico pregio di essere sicure e affidabili e relativamente poco costose; giusto per fare un esempio le prove in galleria del vento della "nuova" navicella Orion sono state ridotte al minimo, visto che in realtà non è nient'altro che la vecchia Apollo un po' ingrandita. Se poi andiamo sul piano della comunicazione e dell'impatto mediatico... Bé, Constellation ci darà ben poco di più di Apollo, a parte una migliore qualità delle immagini televisive. E sicuramente nessuno potrà dire che si tratti di qualcosa di rischioso e difficile. Constellation è solo lento, metodico e immensamente costoso, anche se non quanto sarebbe costato il programma della NASA dopo Apollo. A malapena ci accorgeremo del ritorno sulla Luna.
Quando, allora, conquisteremo veramente la Luna? Una luce di speranza c'è: Burt Rutan e Richard Branson ci stanno di nuovo portando nello spazio in maniera avventurosa e poco sicura, ma con quel ghigno satanico che contraddistingue i veri esploratori. Le loro fusoliere poco costose in resina epossidica e i modellini in plastica portati in giro su vecchi pickup scassati per testarne l'aereodinamica mi danno, paradossalmente, più fiducia dell'approccio metodico degli impiegati della NASA. Avranno i loro problemi, e forse anche qualche morto, ma sono sicuro che in questo momento stanno sorridendo alla Luna, pronti a spiccare il prossimo, rischioso salto.
Proprio perché è difficile.
E poi la loro prima astronave si chiama Enterprise...

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