giovedì 12 giugno 2008

Nella terra delle colonne sonore perdute

A volte, quando mi sento dell'umore giusto, penso alla mia vita come ad un romanzo, come un film. Ultimamente trovo il film particolarmente noioso, qualcosa di paragonabile ad un film di Kieślowski... Ma questa è un'altra storia.
E' un esercizio utile, una mia cara amica - ora purtroppo tragicamente scomparsa - chiamava questa sensazione andare in catena: ritrovarsi improvvisamente a vedere dall'esterno la propria vita, le proprie azioni, le proprie idee come se raccontate da un narratore impersonale. Si può completare il tutto con qualche inquadratura, magari particolarmente ardita, innovativa, con delle luci particolari e delle scenografie suggestive; non necessariamente fantascientifiche o elaborate, sia ben chiaro, niente di simile alla galleria degli specchi di Versailles o al cornicione piovoso dell'ultimo scontro di Blade Runner. Presa nel contesto giusto anche la spoglia stanza anonima nella quale sto scrivendo queste due parole può diventare una scenografia suggestiva.
E' un'abitudine che io ho sempre considerato salutare. Oddio, probabilmente la maggior parte degli psicologi potrebbe cosiderarla molto distante dal "salutare". Credo che sia una di quelle cose che, portata appena un po' più in là, possa portare ad una vera e propria psicosi, se non all'autismo più totale.
Ma, alla fine, io sono un po' autistico, quindi non ne sono del tutto preoccupato.
Collegato all'andare in catena è un altro mio viziaccio - se così si può dire - quello del narrare. Narrare non è banale. E' un qualcosa che riesce bene, di solito, con qualche bicchiere di alcool in corpo. Voi che leggete (sempre i miei dieci manzoniani lettori) potreste provarla in qualche momento: prendete la situazione in cui siete, fate un respiro profondo e cominciate a narrarla, come se foste un autore. Un esempio?
Nell'ufficio erano rimasti in pochi, vista l'ora tarda. Qualcuno vagava di stanza in stanza con poco da fare, giusto per accumulare qualche minuto di straordinario in più. Qualcun'altro, curvo sul proprio computer, lottava con il codice che scorreva sullo schermo, tentando di risolvere quei problemi che aveva dato per banali e semplici e che invece si stavano rivelando ostici ostacoli, impossibili da superare, fonte di altri problemi, di telefonate in tono sommesso a compagne e compagni scocciati ed ansiosi, di occhi rossi e lacrimosi accompagnati da mal di testa inopportuni.
In un ufficio deserto, solo, Silvio batteva sulla tastiera con costanza. Joe Strummer suonava dal suo computer mentre lui affidava il suo pensiero del momento al suo blog. - "Dovrei farlo più spesso" - pensava mentre scriveva, stupito di come dall'aridità della sua vita di quei giorni venissero fuori lo stesso parole abbastanza interessanti... O almeno lo sperava. Raccontare, per lui, era stata una seconda natura. Giocare con le parole, carezzare con destrezza le menti di chi leggeva, passare rapido le dita dei suoi pensieri sui punti più sensibili di chi ascoltava era stata per lui un'attivita paragonabile solamente al sesso... Anzi, a volte anche più soddisfacente.
Però, tristemente, quella che era stata la parte più amata di se stesso stava diventando lentamente sempre di più un ricordo. E' un momento triste quando delle parti di sé diventano un ricordo, un segno dei tempi che cambiano. In peggio. Mentre scriveva Silvio pensava a quelle cose che si era lasciato indietro senza volerlo. Non narrava più tanto spesso, non scriveva quasi più. Le parole non scritte che erano fuggite dalla sua vita avevano portato via con sé il sorriso sardonico che gli permetteva di sopportare noia e disagio, paure e momenti di sconforto. E, soprattutto, avevano portato via con sé le colonne sonore.
Quelle musiche così importanti. Anni addietro Silvio aveva passato ore ed ore a scegliere con attenzione quali musiche ascoltare e in quale momento. Come in mistiche cerimonie religiose, da adepto di un culto misterico quale era, si era chiuso nel buio della sua stanza, preso con religiosa reverenza i vinili ingombranti, ammirato le copertine, fatto passare il panno sul disco per pulirlo dalla polvere. Aveva preso in mano la puntina, l'aveva posata con delicatezza nello spazio bianco tra due brani, avviato il registratore, pronto ad interromperlo nel momento esatto in cui la conzone avesse esalato l'ultimo respiro. E poi di nuovo sollevare la puntina, riporre con attenzione il disco nello scaffale, prenderne un altro, indovinare il giusto stato d'animo che la successione di canzoni avrebbe dovuto provocare. I due lati della C90 diventavano qualcosa di più di una cassetta. Diventavano la colonna sonora dei suoi pensieri, delle sue azioni, del film della sua vita. Anche nel tempo dei film muti i pianisti sottolineavano con la musica le azioni, e quelle cassette erano la preparazione, la droga che avrebbe suscitato dentro di lui le giuste emozioni.
Adesso anche loro erano andate, bruciate dalla tecnologia, dalla frenesia della vita ipercinetica ma piena a sua volta di momenti vuoti e inutili che conduceva.
Il nastro magnetico col tempo si deteriora. Perde informazioni, mentre il fruscio del rumore bianco si sovrappone sempre di più alla musica. Nella stessa maniera le parole che un tempo erano la vita stessa di Silvio, la narrazione continua e in tempo reale delle sue azioni e dei suoi pensieri, si era lentamente persa nel rumore bianco dello svegliarsi ogni mattina, rapida doccia, traffico, lavoro, telefonate, mal di testa, problemi, traffico ancora, casa, cena, televisione e letto.
Il rumore bianco della banalità aveva portato via quelle cassette confezionate con cura insieme alla narrazione, rendendola piatta ed insipida. I suoi momenti belli erano lì, pronti a tornare. Nella terra delle colonne sonore perdute, dove le musiche che aveva amato accompagnavano tutto quello di bello che aveva fatto.
Dove musiche ancora non ascoltate erano pronte ad accompagnare le nuove follie che avrebbero finalmente reso di nuovo interessante la narrazione.
Basta tornare ad avere il coraggio di ripassare il panno sul vinile per rimuovere il dannato rumore bianco che offusca tutto.

Dio santo, mi sa che sono andato troppo oltre. E forse sono stato troppo melenso.
Ma va bene così, almeno stasera, da solo in quest'ufficio mentre aspetto che arrivino le 10.

1 commento:

Unknown ha detto...

Una delle tue manzoniane lettrici ha letto..
Non sa cosa commentare, però ha letto, come sempre!
:)