sabato 21 giugno 2008

La forza degli antenati (parte II°)

Sono a Brindisi, per una toccata e fuga. Il mio Tiranno, il Tempo, continua ad essere padrone. Miliardi di cose da fare, mancanza di tempo per farle, e contemporanamente un tale turbinio di idee e di propositi per il futuro che, a metterle tutte in conto, avrei bisogno di quattro vite per compierle.
Nel frattempo dovrei anche guadagnarmi da vivere, e la quinta vita che sono costretto a vivere per farlo finisce per essere l'unica vita che vivo. Nel frattempo le altre quattro vite, con tutti i loro propositi, le brillanti idee, i rapporti sociali che vorrei avere vanno, molto semplicemente, a farsi fottere.
Conosco molto bene quegli altri quattro Silvio potenziali che vivono quelle vite. Sono brave persone, molto migliori di me, ma hanno tutti una cosa in comune: non devono preoccuparsi di quello che avviene giorno per giorno, non devono rispondere al telefono, non hanno madri malate, compagne bisognose di supporto, lavori stupidi dove si passa il tempo a fare cazzate senza senso per accontentare dirigenti idioti. Non vivono in una nazione dove la cosa più importante, nel momento in cui un governo di tendenze vagamente nazipopuliste ha conquistato il cuore dei miei connazionali, è che la nazionale vinca un'idiota partita di calcio contro la Spagna. Non hanno quel macigno sul cuore che mi impedisce di formulare un pensiero chiaro e distinto.
A volte li odio, e vorrei che non esistessero. Peccato che loro mi rispondono con un sorriso sarcastico. "Appunto, noi non esistiamo, sei tu che esisti e ti becchi tutta la merda, noi siamo in un non-luogo, in un non-tempo. Se noi esistessimo saresti tu a non esistere, se non come incubo. Il peggiore degli incubi."
Si, la diagnosi è facile, sono depresso e senza prospettive, non certo lo stato d'animo migliore per far funzionare il cervello.
In tutto questo piombano degli avvenimenti strani, come dei segnali. Ieri sera ho recuperato, con l'impareggiabile aiuto di Maura e di mia madre, le vecchie foto fatte da mio nonno.
Una serie infinita di foto che partono dal mio bisnonno, Francesco Mongelli, notabile morto negli anni cinquanta del secolo scorso dallo sguardo ironico e allegro, per proseguire con decine e decine di immagini che immortalano questo rubicondo giovane mentre studia medicina a Napoli, mentre si sposa con una bella ragazza, fa un paio di figlie e assiste ai grandi avvenimenti del suo tempo, come l'invasione dell'Albania nel '39 (si, li abbiamo invasi noi per primi) e la guerra. Qualche foto scampata alla censura lo ritrae, medico militare, sul fronte russo. La divisa degli Alpini mentre è a Trieste nel giugno del '43, mano nella mano con moglie e figlie, ignaro che da lì a poco sarebbe stato trascinato in un carro bestiame per una vacanza premio al Sennlager, in Germania, a tempo indeterminato.
Poi la guerra finisce, il fisico già tendente alla pinguedine si espande, le figlie diventano tre e lunghi viaggi lo portano in giro per tutta l'Italia. Foto dopo foto li si vede ridere e scherzare nelle piazze storiche di questo paese, con giusto un paio di automobili a volte sullo sfondo, la maggior parte delle volte vuote e tranquille.
Mio nonno è morto questo stesso giorno, ventuno anni fa. La prigionia in Germania gli aveva massacrato un cuore già troppo generoso, ma fortunatamente ha retto abbastanza a lungo. L'ho conosciuto, lo ho amato, è stato il mio vero maestro anche se è morto troppo presto per potermi avviare verso la strada che lui aveva iniziato. Si è limitato a darmi un'impronta generale, creando quegli altri Silvio che adesso mi tormentano... Anche se, a dire il vero, dovrei solo prendere il coraggio a due mani, mandare al diavolo tutto e tutti e riunirmi con loro, per poter finalmente seguire la sua strada. Forse è troppo tardi, maledettamente troppo tardi, sia per me che per un mondo che, rispetto a quelle foto vecchie di mezzo secolo è più, ha fatto passi da gigante. Purtroppo molti di quei passi sono stati fatti nella direzione sbagliata, esattamente come è avvenuto con me.
In questo trovo un po' di consolazione, alla fine non faccio altro che essere lo specchio di questi tempi impazziti che - invece che conquistare la Luna - si sono buttati nel labirinto di contraddizioni senza senso che sembra essere il marchio indelebile del duemilaeotto. Un duemilaeotto così profondamente diverso da quanto vedo in quelle foto, specchio del secolo breve che adesso, nonostante i milioni di morti, le crudeltà, le privazioni e gli scontri titanici sembra essere tanto più attraente.
Non fosse altro perché loro, gli abitanti di quel secolo, nonostante le minacce e le paure fossero tanto più grandi e terribili di quelle che affrontiamo noi, riuscivano lo stesso a ritagliarsi degli spazi in cui essere allegri e spensierati, in cui condurre per mano una bella moglie e due bambine felici su un lungomare di una città in guerra.
Ho il diario del nonno, so che anche lui aveva le sue paure. Devo chiedergli un ultimo aiuto, dopo che ha fatto tanto per me. Devo imparare da lui, devo trovare la maniera di vivere e riunirmi con quegli altri Silvio che tanto si aspettano da me. Se lui ci è riuscito ci riuscirò anch'io.
Non fosse altro perché non ho alcuna alternativa.

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