martedì 21 agosto 2007

Confini

I confini sono posti un po' particolari. Sono dei limiti, dei bordi, delle interfacce tra qualcosa di diverso. I confini umani sono affascinanti, soprattutto quando coincidono con quelli culturali.
Ho avuto la fortuna di nascere e crescere, per la prima parte della mia vita, in un posto del genere. Un porto, "proiettato tra oriente ed occidente", come dice la pubblicità dell'azienda di soggiorno e di turismo. Un posto dove, passeggiando per il corso (è pur sempre una cittadina meridionale, lo struscio è attività mandatoria), si possono leggere insegne in italiano, greco, albanese, turco. Un posto di passaggio, dove però sono passati in tanti, dal mitico Diomede a Gandhi. Li abbiamo mantenuti tutti nella memoria, in un angolino, cercando di dimenticarli alla prima buona occasione... ;)
La mentalità che c'è in un confine è diversa da quella di tutti gli altri posti. Può svilupparsi in due diverse direzioni. Una è quella classica del confine assediato, della fortezza. Un po' da Deserto dei Tartari di Buzzati, con il terrore del nemico che possa venire dall'altra parte da un momento all'altro. Ho trovato questo confine nel sud del New Mexico, ad esempio, con i rangers forniti di Rayban a specchio regolamentari e fucili a pompa che guardavano di traverso tutti i chicanos. Non è un confine che mi piace, anche se di solito è una creazione artificiale, voluta da gente impaurita e che dura poco, per essere a volte abbattuta in maniera fragorosa e repentina.
Il vero confine, quello naturale, è qualcosa di ben diverso. Tanto per cominciare è un'interfaccia fluida e mobile, instabile, non ben definita. Viaggi e ad un certo punto ti ritrovi in una zona indefinita, dove non sei né nel posto da cui vieni né nel posto in cui stai andando, ma in-between, in transito, all'interno di una membrana osmotica e permeabile dove due o più culture si mescolano.
Da questa mescolanza nasce qualcosa di strano, di superiore alla semplice somma delle due parti. Gli abitanti dei confini sono naturalmente proni ad accettare qualunque stranezza, sia tra la gente che si muove nelle loro terre che al loro stesso interno, sviluppando spesso tradizioni particolari, spesso profonde e antiche quanto mutevoli ed instabili, sempre attuali perché per loro natura adattabili.
E' il mio ambiente naturale, l'ambiente in cui mi trovo bene, quello in cui girando l'angolo puoi trovarti indifferentemente in una cattedrale di vetro e cemento dedicata al dio denaro, in una moschea di fango, in un bazaar dai banchi di canne dove si vendono giocattoli cinesi illegali, in una strada stretta dalle pareti bianche con donne vestite di nero sedute fuori dalla porta a prendere un po' di fresco.
Dispiace dirlo, ma mi trovo a vivere, da dieci anni ormai, in una città che è l'esatto contrario di un confine. Roma non è una città dove si passa, è una città dove si arriva, un posto senza alcuna vera storia e tradizione che non sia estremamente remota, un buco nero che tutto assorbe, tutto tritura e trasforma in un misto tritato che è il romano: cinico, cialtrone, intriso di un aria di superiorità assolutamente ingiustificata, impossibilitato ad esprimere alcuna forma di creatività. Un posto dove non c'è mescolanza di culture, in realtà, a parte quella che qualche poveraccio sta tentando di creare. Ma, si sa, la città non reagisce, beandosi dei suoi duemila anni di storia e cinque minuti di futuro, in un presente assente. Roma non è terra di confine né mai lo sarà, per quanto ci provi. E' solo un punto di arrivo, uno dei tanti, dove una buona idea viene accolta semplicemente con un'alzata di spalle ed uno sguardo compiacente ed ironico.
Voglio tornare a sognare, voglio tornare in un posto dove almento due mari, due terre diverse siano a portata d'occhio.


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Now playing: The Waterboys - Fisherman's Blues (Alternative)
via FoxyTunes

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